E’ di oggi la pubblicazione del documento sulla crisi in Umbria e rapporto economico e sociale presentato dall’Aur non lascia dubbi. L’Umbria paga un conto salato legato sicuramente alla tempesta finanziaria internazionale, ad una moneta rigida quale è l’euro, a problemi economici strutturali nazionali, ma anche ad una classe dirigente locale, in particolare politica, che non ha saputo costruire argini sufficienti e forti contro il dilagare della crisi.
I numeri snocciolati sono impietosi l’Umbria ha perso 11 punti di Pil tra il 2008 e il 2012 rispetto ai 7 persi dall’Italia. E’ raddoppiato il numero delle famiglie povere, passate nel 2012 dal 5 all’11 per cento. E ancora bassi stipendi, bassa produttività del lavoro, dimensione troppo piccola delle aziende. Basta questo a evidenziare che c’è un ritardo anche locale da risolvere e superare.
La sfida è utilizzare al meglio i fondi europei, sostenere il tessuto economico che innova e si internazionalizza è un imperativo, spingere per una flessibilità della politica monetaria europea è indispensabile. Misure però necessarie ma non sufficienti, in quanto gli effetti si vedranno solo se la classe dirigente regionale passerà dalle promesse ai fatti. E’ il caso, per esempio, della legge numero 3 del 2014 nata per favorire, attraverso il ‘Banco della terra’ di cui si è perso traccia, l’insediamento produttivo e occupazionale in agricoltura, una delle aree di eccellenza umbre su cui si dice di voler puntare per contrastare la crisi. Questa legge, approvata nella primavera scorsa, resta ancora inapplicata. Manca ancora il regolamento attuativo. Se non si passa dalle promesse ai fatti, e si “cambia verso per davvero”, la crisi continuerà a stringere nella morsa la nostra regione.