Il commercio internazionale riguarda lo scambio di beni, merci e servizi tra paesi. Nella letteratura economica e nelle statistiche si considerano soprattutto le merci, i servizi e le forme di scambio registrate come transazioni a mezzo moneta. Le esportazioni (vendite di beni e servizi) e le importazioni (acquisti di beni e servizi) di tutti gli operatori di un paese vengono registrate nella bilancia commerciale, che è una parte del documento contabile nazionale che registra i pagamenti con l’estero, cioè la bilancia dei pagamenti internazionali. Il saldo della bilancia commerciale, ossia la differenza tra esportazioni e importazioni fornisce un indicatore economico molto importante. Infatti un saldo positivo (avanzo commerciale) o in pareggio indica che l’economia di un paese è in grado di soddisfare la domanda di beni e servizi interna coi propri mezzi; viceversa, un saldo negativo (disavanzo commerciale) indica che l’economia del paese dipende anche dall’estero. Da parte delle autorità monetarie, il problema principale legato ai disavanzi commerciali è l’esigenza di procurarsi la valuta estera necessaria a pagare la differenza tra esportazioni e importazioni.

Per questo scopo è possibile 1) ricorrere alle riserve ufficiali in valuta, che però sono limitate e quindi non possono essere usate per disavanzi commerciali di lunga durata, detti anche strutturali; 2) ricorrere a prestiti internazionali, pubblici o privati, i quali però a lungo andare generano un debito estero per il paese; 3) svalutare la moneta nazionale, cioè rendere più costose le valute estere e quindi le importazioni, e nelle stesso tempo meno costose le esportazioni, in modo da riequilibrare la bilancia commerciale; 4) adottare politiche di protezionismo, ossia rendere più costose le importazioni imponendo delle imposte (tariffe commerciali), oppure limitare o proibire le importazioni di determinati beni e servizi; 5) adottare delle politiche di aggiustamento strutturale, le quali tendono a ridurre le importazioni facendo diminuire la domanda interna attraverso riduzioni della spesa privata e pubblica; 6) aumentare le esportazioni spostando forza lavoro dai beni nazionali a quelli di esportazioni, diminuendo salari e costi di produzione, ossia aumentando la competitività dei beni nazionale.

Fatta questa premessa, veniamo alla visione che l’UE ha del commercio internazionale e dei trattati commerciali. Nella relazione della Commissione sull’argomento (che trovate sull’area DOWNLOAD) si legge: nella difficile situazione economica attuale il commercio è diventato un mezzo importante per ottenere la tanto ricercata crescita e creare occupazione senza attingere alle finanze pubbliche. È la cinghia di trasmissione che collega l’Europa ai nuovi centri globali della crescita e una fonte unica di guadagni nella produttività industriale. L’UE, che dalla globalizzazione trae molti più vantaggi di quanto talvolta si affermi, si trova in una posizione favorevole per beneficiare dell’intensificarsi del commercio internazionale […] La liberalizzazione degli scambi è di per sé una grande riforma strutturale che apre nuove possibilità d’innovazione e di maggiore crescita della produttività. Diffondendo idee nuove e innovazione, nuove tecnologie e la ricerca più avanzata, i flussi commerciali e degli investimenti migliorano i prodotti e i servizi usati dalle persone e dalle imprese.

In questi grafici i valori in miliardi degli scambi commerciali e degli investimenti

Investimenti_UE

Come si capisce, il fenomeno della “globalizzazione”, credo irreversibile a meno di un conflitto, ha permesso il movimento di beni e investimenti, ha permesso di aprire nuovi canali commerciali e quindi nuove opportunità ma, ha anche aperto a nuovi competitori che non hanno le nostre regole. Come mettere insieme tutte queste cose? Non avere penuria di beni? Far quadrare i conti della bilancia dei pagamenti dei singoli Stati e mantenere la propria “sovranità” su certe scelte?

Non avere penuria di beni. Sicuramente l’autosufficienza e l’indipendenza piacerebbe a tutti ma, che io sappia, non esistono esempi oggi accettabili che funzionano a meno che non vi piaccia la Corea del Nord. E’ possibile poter essere indipendenti energeticamente, sulla produzione di cibi, di farmaci, di macchine ecc.? Se uno è disposto a rinunciare a molte cose, come ad esempio al caffè e alla cioccolata che in Italia non produciamo, è possibile essere autarchici, ma non credo sia un percorso praticabile. Molto meglio avere l’indipendenza economica e politica (qui si aprirebbe il capitolo di che Europa vogliamo e della questione Euro ma meglio soprassedere) e poi tessere relazioni con chi è intorno a noi.

Far quadrare la bilancia dei pagamenti. Come accennato quando acquisti un bene estero fai uscire capitali e quindi il Paese s’indebita, viceversa quando vendi un bene importi capitali. Ovviamente quanto più importiamo quanto più debito abbiamo nei confronti dell’estero e solitamente non è un bene.

bilancia dei pagamenti

Come facciamo a mantenere la sovranità delle scelte fatte in sede unionale? L’articolo 3 del TFUE ci dice che è competenza esclusiva dell’Unione la materia della politica commerciale. Il problema è trovare un equilibrio tra il complesso delle scelte dell’Unione e le conseguenze sul singolo SM e fare in modo che le merci, i servizi e gli investimenti che entrano nel nostro territorio rispettino le nostre regole.

Uno dei trattati in discussione e che oggi è spesso presente nei vari dibattiti è il TTIP (e non c’è solo questo), per il quale il M5S si è già espresso in maniera molto critica (su DOWNLOAD trovate tutta la documentazione) perchè, ad oggi, dai promotori è stata fatta solo propaganda, senza spiegare bene che cosa comporterà abbassare certe protezioni, quali saranno le “probabili” categorie vincenti e quali quelle vinte e, visto che l’UE è fatta da 28 SM quali saranno le ripercussioni per ogni stato e quali sono le contromosse o le vie di fuga se qualcosa non dovesse andar bene. Dall’incontro che ho avuto con i negoziatori il 6 e 7 luglio scorso ho raccolto molta incertezza, quasi una scommessa del tipo “o la va o la spacca“.