L’espressione private label è usata per indicare i prodotti che portano il nome della catena distributiva o del supermercato che li pone in vendita come Esselunga, Coop, Sma-Auchan , Conad ecc. In Italia, dati Adm Lab-Università di Parma, sono oltre 1.500 le aziende che producono beni destinati a essere marchiati dai distributori, per un fatturato totale che sfiora i 10 miliardi di euro. Aziende che lasciano un segno tangibile sulla nostra economia agroalimentare ma senza comparire

Vendere con un brand della casa può essere, non sempre, una scelta vantaggiosa tanto per il produttore che per il distributore. Questo avviene per esempio nel caso di un eccesso di capacità produttiva del produttore rispetto alla vendita che fa direttamente poi, il produttore così facendo non deve pensare al marketing per vendere il proprio prodotto. In qualche caso poi questi prodotti escono dalle stesse fabbriche che producono marchi noti sul mercato, vedi ioleggoletichetta. Il rischio in questo caso per il produttore è che il prezzo non sempre lo può decidere lui. L’intermediario dall’altra parte a costi più contenuti rispetto a comprare e vendere un prodotto di “marca” e, conseguentemente ha un più elevato margine di profitto. Oltre questo la private label è una leva di marketing nella mani del distributore che consente di contrastare il potere del produttore e di rafforzare la propria immagine nei confronti dei clienti in modo da migliorare il rapporto di fedeltà con questi ultimi: essi, infatti, cercheranno di recarsi presso quei punti vendita che offrono la marca commerciale di proprio interesse.

E’ giusto o sbagliato? Personalmente ritengo che nel prodotto dovrebbe essere indicato con chiarezza da dove viene la merce, in questo modo il consumatore puo’ apprezzare da un lato un produttore piuttosto che un altro e, dall’altro, la stessa marca commerciale perchè ha scelto un prodotto buono e magari della zona.

Qui sotto porto un esempio della spesa di oggi. Sul capocollo c’è scritto PERUGINO e prodotto da IT 174O CE , mentre nell’etichetta incollata dal distributore (che ho coperto) c’è scritto CAPOCOLLO DI CANNARA.

Come facciamo a controllare questo? Basta andare sul sito del Ministero della Salute che identifica gli stabilimenti riconosciuti per la produzione di alimenti di origine animale e sotto la sezione “ungulati domestici” troviamo due stabilimenti di produzione: il 1740 S e il 1740 L. Il primo si riferisce ad un’azienda di Reggio Emilia, la NEW MEAT srl e la seconda ad una di Cannara, la SEGARELLI ENZO snc. Quindi, anche se i dati sul codice di destra (IT 1740 CE) non sono univoci, combinando quello che è stato inserito dal distributore, si puo’ risalire effettivamente che esiste lo stabilimento a Cannara che puo’ fare questo prodotto. Ad ogni modo sarebbe stato meglio mettere 1740 L o esplicitamente il nome e l’indirizzi dello stabilimento.

A seguito di un approfondimento con il Ministero, posso tranquillizzare tutti che NON c’è nessun illecito e sembra che la “L” mancante sia dovuta ad un errore singolo nella stampa.

   capocollo