Scrivo questo post perchè qualche mese fa ho conosciuto Patrizia Marcellini dell’azienda GAIA, azienda che basa la sua forza nella gestione cooperativa della conduzione terreni e coordinatrice del settore cerali di ACI Agroalimentare. Oggi Patrizia Marcellini è stata intervistata da Letizia Martirano di AGRAPRESSE che riporto per intero perchè interessante e istruttiva.
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139 – 13:01:16/11:00 – roma, (agra press) – Patrizia Marcellini e’ la coordinatrice del settore cerealicolo e servizi dell’Alleanza delle cooperative agroalimentari. Con lei, in questa intervista, proviamo a tracciare un quadro della situazione del settore che da due anni lavora sottocosto senza vedere la luce mentre – avverte Marcellini – ci sono paesi come la Turchia che si stanno proponendo sul mercato. Sarebbe opportuno, per modificare la direzione, riuscire a produrre a minor costo e che la filiera comunicasse con piu’ decisone il valore della buona pasta.
Qual e’ la situazione attuale?
In Italia la bilancia commerciale del settore cerealicolo risulta attiva solo grazie alle esportazioni della pasta perche’ se, invece, si considera solo la componente agricola si registra un passivo strutturale dovuto agli alti livelli di materia prima importati. D’altra parte a noi un ettaro di cereali costa il doppio di quanto costa ad un canadese.
Di chi e’ la colpa?
La responsabilita’ di questa situazione deriva dalla frammentazione produttiva – solo in parte risolta dalle cooperative, che potrebbero invece avere un ruolo determinante ed economicamente sostenibile nell’aggregare la conduzione agricola dei terreni – dalla difficolta’ nell’isolare importanti masse di prodotto; da un’offerta discontinua, poco omogenea e molto frammentata; da impianti di stoccaggio inadeguati o obsoleti. Inoltre va sottolineata la dipendenza del settore sementiero dalle multinazionali.
Qual e’ lo stato della ricerca?
Sostanzialmente l’Italia non ha piu’ una ricerca genetica propria ma e’ dipendente dalla Francia e dalle multinazionali. Inoltre i ricercatori andrebbero messi in rete. In ogni caso la ricerca genetica pubblica non e’ sufficiente alla definizione di varieta’ che si adattino ai cambiamenti climatici neanche al fine di prevenire problemi fitosanitari, mentre vanno sperimentate e sviluppate azioni di sperimentazione di ricerca per adeguarle alle reali necessita’ delle imprese.
Imprese ferme?
Il nostro, purtroppo, e’ un settore che non fa importanti passi in avanti nella riduzione dei costi e aumento delle produzioni ormai da decenni, si potrebbe dire che siamo fermi al palo mentre gli altri corrono e questo e’ un altro importante fattore idoneo a metterci fuori mercato. Anche in questo avremmo fortemente bisogno della ricerca e sperimentazione, coordinata tra gli istituti pubblici e imprese private che operano direttamente sui campi, con protocolli precisi e risultati disponibili per tutto il sistema.
Qual e’ la situazione al Centro-Sud?
Per alcuni cereali la diminuzione della redditivita’ ha fatto perdere interesse. Tenuto conto del fatto che nel Centro-Sud o si coltivano cereali, oleaginose e proteiche o null’altro. E’ dignitoso che un paese chiede alle imprese di produrre sottocosto?
Tuttavia non si puo’ non segnalare il fatto che ci sono tre punti di forza: la trasformazione cerealicola e’ la matrice originaria del nostro Made in Italy; il peso dei cereali nel comparto mangimistico della filiera zootecnica e’ all’origine dei prodotti di eccellenza come Parmigiano Reggiano e prosciutto di Parma; la presenza diffusa della cooperazione sul territorio nazionale svolge un ruolo importante.
Non possiamo infine dimenticare l’importanza che gli agricoltori rivestono, con le loro coltivazioni, ai fini del dissesto idrogeologico e non solo, proprio nei territori piu’ difficili dal punto di vista della redditivita’ nel fare agricoltura.
Che misure propone la cooperazione per cercare di invertire la tendenza?
Bisognerebbe, per esempio, tra le cooperative, passare dal conto deposito al conto conferimento; sostenere la competitivita’ delle imprese attraverso i contratti integrati di filiera e di distretto, perche’ non dobbiamo dimenticare che un agricoltore povero impoverisce tutta la filiera e quindi, prendendo ad esempio la pasta, il rischio e’ quello di perdere l’intero comparto che potrebbe preferire la delocalizzazione in altri paesi, facendo cosi’ perdere il valore economico dell’intero indotto. Va, poi, sostenuto e aiutato l’ammodernamento della dotazione strutturale delle cooperative di stoccaggio, con l’ampliamento dei centri per la classificazione qualitativa del prodotto e la sua corretta conservazione; va orientata l’offerta attraverso la costituzione di organizzazioni di produttori.
Ci sono forme di aggregazione utili?
Un possibile strumento di aggregazione e’ rappresentato dalle cooperative di conduzione terreni, che garantiscono la gestione unica di una pluralita’ di superfici e va valutata la costituzione di una organizzazione inter-professionale. Se guardiamo al nostro piu’ vicino concorrente, la Francia, vi sono aggregazioni di produttori per cui una sola impresa, di norma cooperativa, fattura centinaia di milioni di euro e quindi ha un discreto potere contrattuale. In Italia gli operatori del settore, troppo individualisti, sono migliaia ed il loro potere e’ nullo di fronte ad acquirenti molto grandi e organizzati.
Sul piano commerciale ha proposte?
Oltre all’aggregazione di cui ho gia’ detto, sul piano commerciale bisogna favorire la conoscenza dei nuovi strumenti, garantire una maggiore trasparenza del mercato dei prezzi e ridurre i rischi di gestione per le imprese agricole, valutando anche la potenzialita’ della borsa merci telematica.