Qual è la sua posizione e del suo gruppo in tema di indicazione d’origine della materia prima in etichetta? Come ha condotto o condurrà la sua battaglia in questo senso, in Parlamento? Come componente delle commissioni agricoltura e anti contraffazione, seguo con molta attenzione e da vicino questa problematica. Ormai tutti noi consumatori riteniamo che la qualità della materia prima, l’indicazione della provenienza di un alimento e le sue modalità di trasformazione siano elementi imprescindibili da conoscere e da riportare in etichetta. Queste finalità sono richiamate nella legge 3 febbraio 2011, n. 4 , che recita testualmente all’articolo 4, comma 1, che ai consumatori va assicurata «una completa e corretta informazione sulle caratteristiche dei prodotti alimentari commercializzati, trasformati, parzialmente trasformati o non trasformati, nonché al fine di rafforzare la prevenzione e la repressione delle frodi alimentari».
Quello che non si sa è che i decreti attuativi di questa legge non sono mai entrati in vigore. Per questo ho presentato insieme ai colleghi una PDL (n° 1173 del 7 giugno 2013), la prima che ho depositato, per obbligare il Governo ad emanare le norme applicative, ma ad oggi nulla di fatto. Questo perchè le regole comunitarie non prevedono e non ammettono l’obbligo di indicare in etichetta la provenienza delle materie prime . La motivazione di questo orientamento a mio avviso è da ricercare nella volontà delle Istituzioni europee di assecondare gli interessi dell’agroindustria che non vede di buon occhio le etichette parlanti. Noi non ci arrendiamo e ad ogni occasione utile chiediamo al Governo di intervenire e risolvere questo problema, ma i numeri purtroppo non ce lo permettono. A questo aspetto si lega anche l’obbligo di indicare in etichetta lo stabilimento di produzione o confezionamento se diverso e la questione del “made in”, temi sui quali occorre ancora lavorare molto. Riguardo al primo, finalmente, per chi produce in Italia sarà obbligatorio indicare lo stabilimento anche se, punto sul quale ci siamo opposti in commissione, non vogliamo che siano usati codici alfanumerici o altri simboli ma che sia chiaramente indicato in lettere l’indirizzo. Sulla questione del “made in” o meglio della tutela del “made in Italy” Renzi ha perso l’occasione di affrontare e risolvere questo tema durante la presidenza italiana dell’UE e questo ci fa temere che, con un Governo così debole, l’etichettatura chiara e trasparente per il consumatore e l’indicazione dell’origine della materia prima rimarranno per ora un tema irrisolto.
La filiera nazionale, a vostro avviso, è minacciata dalle importazioni di materia prima o prodotti finiti, intra ed extra Ue (olio, latte, pomodoro, carne, etc)? I dati del rapporto CREA 2014 ci mostrano i valori del commercio agro-alimentare. Leggiamo, a titolo di esempio, che siamo deficitari (dati a saldo) di sementi (compresi quelli da semina), cereali, legumi e ortaggi secchi, animali da allevamento e macello, prodotti della pesca, della silvicoltura e altri. Esportiamo, essendo in surplus (a saldo) di frutta fresca, legumi e ortaggi freschi. Ad ogni modo il saldo è negativo per un totale in valore poco sopra i 7 miliardi. Se guardiamo invece i prodotti dell’industria alimentare “siamo forti” per riso, pasta alimentare, prodotti da forno e prodotti dolciari, carni suine preparate e ortaggi trasformati e ancora deficitari per quanto riguarda oli, mangimi, carne fresche e congelate, zucchero e altre. Anche in questo caso il saldo è negativo per circa 4,6 miliardi ovvero importiamo più di quello che esportiamo. Caso a parte, che merita attenzione, è il vino e gli spumanti che registrano un saldo positivo di quasi 5 miliardi.
Questi numeri ci mostrano che l’Italia è sia un produttore che un trasformatore di prodotti, che l’industria alimentare ha necessità di materie prime e che l’Italia non riesce, per motivi sia dimensionali (12,5 milioni di ettari di SAU) che climatici a produrre tutto quello che il “mondo” ci chiede. Basti pensare alla pasta, all’olio, agli insaccati, alla cioccolata e al caffè.
Quello che noi chiediamo è una chiara e trasparente etichettatura, le importazioni non sono un problema anzi sono necessarie per molte filiere, ma non si deve ingannare il consumatore facendogli credere una cosa per un’altra.
Emergenze alimentari e sanitarie: ritenete che il sistema dei controlli in Italia sia sufficiente a garantire la sicurezza dei cittadini, anche rispetto ai prodotti alimentari importati? E ritenete di no, quali azioni il vostro gruppo sta conducendo o condurrà per questo? In questi tre anni di attività ho potuto conoscere le forze che lo Stato mette in campo per la nostra tutela e posso dire che ho sempre percepito grande impegno e professionalità. Prima di rispondere alla domanda occorre dire che l’Italia ha la più grande fetta di prodotti a denominazione DOP e IGP dell’Unione europea (pari a 1280). I sistemi di certificazione più utilizzati nel comparto agricolo e agro-alimentare sono basati su norme UNI-EN-ISO Per la sicurezza alimentare invece i sistemi si basano sulla certificazione Fssc2000. Questo per evidenziare che unendo i controlli con la certificazione delle filiere, l’Italia si colloca tra i primi posti nella sicurezza agro-alimentare. Certo è che a volte “scoppiano” casi specifici e per questo non si deve mai abbassare la guardia e occorre ringraziare sia i sistemi di controllo amministrativo che quelli sanitari che intervengono per bloccare i rischi per la nostra salute per questo occorre dar loro risorse idonee per poter funzionare al meglio. Le norme ci sono, i controlli anche ma si puo’ e si deve fare di piu. Questo però si scontra con la “globalizzazione” dei consumi, perchè aumentando la quantità circolante di merci è probabile che qualcosa non venga fatta bene o che qualcuno voglia fare il furbo e, per questo, la sicurezza al 100% è impossibile, ma saper leggere le etichette e diffidare da acquisti o scelte incaute ci deve far stare tranquilli.
Come gruppo M5S la questione delle risorse per controlli ed etichettature chiare è fondamentale e abbiamo duramente criticato la volontà del Governo di sopprimere il Corpo forestale dello Stato perchè molto ha fatto e sta facendo, mentre dal lato della “globalizzazione”, siamo fermamente convinti che il TTIP come altre scelte di “libero scambio” siano controproducenti alla nostra sicurezza alimentare, almeno cosi come sono state progettate fino ad ora.
Qual è la vostra ricetta per sfruttare al meglio i fondi europei per la promozione dell’agroalimentare italiano, in vista degli ambiziosi progetti del governo e delle difficoltà che il settore alimentare sta attraversando? Questo è un tema che seguo molto da vicino; sono in continuo contatto con i funzionari della regione umbria, regione dove sono stato eletto, perché ritengo che tutte le aziende e tutti i soggetti potenzialmente beneficiari debbano essere informati sulle opportunità di finanziamento ed assistiti nelle fasi di predisposizione dei progetti, perché, come lei sa, gli adempimenti e le tecnicalità sono molte e spesso scoraggiano i richiedenti. Per cercare di aiutare devo conoscere io per primo però. Purtroppo in una situazione di scarsità di risorse come quella attuale i fondi europei, sia a valere sui PSR che sull’OCM unica, oltre che quelle previste per i pagamenti diretti, rappresentano l’unica possibilità per migliorare il Paese;bisogna però riuscire a spenderli massimizzandone l’impatto ed evitare che vengano assegnati sempre ai soliti pochi. Questo vale soprattutto per i fondi PSR dove l’intermediazione politica ci ha fatto spesso assistere a sprechi, inutilizzi e favoritismi di ogni genere. Maggiore informazione e facilità di accesso al credito sono le soluzioni. Altra carenza italiana è la cooperazione. Nel nostro paese ci sono molte azioni singole e poche azioni collettive, occorre aggregare i produttori e la filiera integrandovi la trasformazione e lo strumento delle organizzazioni interprofessionali, finanziate dall’UE, possono essere la soluzione. Numerosi i nostri interventi in questo campo, scelte che la commissione ha accettato e approvato ma che ad oggi, vedono l’ostacolo degli individui.
A fronte dell’impasse in Europa in relazione al raggiungimento di un accordo sulle nuove norme di produzioni del biologico, quale la vostra posizione sul tema e come vi state muovendo per sostenere questo settore in forte crescita?
Nel corso del 2013 il settore “biologico” è cresciuto a livello mondiale ma allo stesso tempo vi sono differenze di regole tra paese e paese. Questa crescita è dovuta alla crescente richiesta da parte del consumatore di questi prodotti ma, se si chiede al consumatore perchè compra biologico, non sempre sa cosa significa veramente e confonde il metodo di produzione con la qualità del prodotto o le caratteristiche nutrizionali. La proposta di revisione della normativa UE per l’agricoltura biologica è relativa sia alla produzione che all’etichettatura e si è fermi perchè non è ancora risolta tra i paesi la questione della presenza di “sostanze ammesse” e l’armonizzazione quindi sembra essere complicata. L’Italia ad esempio ha deciso di fissare per legge una soglia minima di contaminazione e il proprio piano di azione nazionale sull’uso sostenibile dei fitosanitari (PAN) è l’unico tra quelli europei che promuove in modo specifico l’agricoltura biologica e ne contraddistingue le peculiarità.
Le critiche alla proposta di armonizzazione al livello unionale delle norme relative alla produzione biologica e alla sua certificazione riguarda l’eliminazione delle deroghe e la gradualità della conversione. Alla fine la questione sarà risolta con un compromesso, come per l’etichettatura, temo, si fisseranno delle norme minime e delle altre volontarie.
Come per gli altri prodotti alimentari il consumatore per scegliere deve conoscere e dietro a regole comuni in un mercato libero, occorrono controlli omogenei, etichettature e informazioni chiare, anche perchè, anche il biologico molto spesso è tale solo sulla “carta”.