La Commissione d’inchiesta sui fenomeni della contraffazione ha approfondito il tema: contraffazione nel commercio elettronico. Il fenomeno della contraffazione che si perpetra attraverso tali sistemi (oggi in crescita esponenziale) è forse uno dei più delicati e complessi nella prospettiva della definizione delle strategie di contrasto di tali fenomeni illeciti. E questi sono i motivi per cui la Commissione ha deciso pertanto di approfondire il tema, analizzando le modalità con le quali si manifesta oggi il commercio illecito di beni contraffatti con lesione dei diritti di proprietà industriale e la pirateria digitale particolarmente nel campo dei media audiovisivi in violazione del diritto d’autore, che si realizzano in forme svariate, palesi od occulte, nei siti e nelle piattaforme di e-commerce e nei social forum su internet.
L’approccio al contrasto non puo’ non tenere conto della direttiva 2000/31/CE. Questa è stata recepita in Italia dal decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70 recante “Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico”, che afferma il principio della neutralità della rete e una ampia irresponsabilità dei provider per i comportamenti illeciti dei fruitori dei servizi sulle piattaforme digitali. Conciliare la libertà di rete (come confermato da sentenze della Corte di Giustizia) e le esigenze di espansione del commercio elettronico, da un lato, con le legittime istanze di tutela dei titolari dei diritti di proprietà industriale del copyright, da un lato, e dei consumatori dall’altro, rispetto ai profili di responsabilità dei fornitori dei servizi telematici offerti sul mercato e per l’utilizzo degli spazi virtuali ceduti è sicuramente molto complesso ma è necessario farlo.
Oggi le maggiori piattaforme commerciali operano su base globale, e come tali sono difficilmente soggette alla giurisdizione nazionale, per una carenza di strumenti di contrasto su base transnazionale. Viceversa gli interventi di tipo proattivo, che prevedono un maggiore coinvolgimento dei provider in sede preventiva e non limitato al singolo caso (su segnalazione) ma orientato ad impedire la reiterazione di attività illecite comunque realizzate, sono invocati dai titolari di diritti come una nuova frontiera del bisogno di tutela per contrastare adeguatamente i fenomeni illeciti.
L’Italia, la cui economia è tipicamente vocata alla manifattura, anche attraverso un prezioso tessuto di piccole medie imprese, è particolarmente colpita dal fenomeno. La falsificazione dei marchi e dei prodotti e la pirateria digitale, oltre ad una grave distorsione complessiva dell’economia e agli effetti sociali negativi ben noti, determina una lesione particolarmente marcata proprio ai prodotti di qualità che costituiscono l’essenza del “made in Italy”. Si tratta di prodotti ad alto valore aggiunto, che hanno i propri elementi qualificanti, rispetto alle produzioni di altri Paesi, nello stile e nel design, ad esempio dei prodotti dell’abbigliamento, oppure nella qualità dei prodotti dell’agroalimentare. Per questo è fondamentale che la politica intervenga anche in questo nuovo spazio, nonostante sia molto difficile farlo.
I motivi che favoriscono il commercio illecito sono molteplici: difficile rintracciabilità degli autori, “infiniti” punti vendita virtuali, sicurezza delle transazioni illecite, trasnazionalità dei traffici, assenza di una governance mondiale di internet, difficile e complessa l’attività investigativa a contrasto. Su quest’ultimo punto ad esempio in Italia è la Polizia Postale che lotta contro la pirateria musicale e cinematografica; è la Guardia di Finanza che è specializzata nel contrasto al traffico più “materiale”, mentre sono i Carabinieri che lottano contro il traffico di farmaci.
A questo si aggiunge l’atteggiamento condiscendente dei consumatori che acquistano in rete. Spesso nella scelta del consumatore non vi è un’adeguata consapevolezza dell’illegalità e della pericolosità dell’operazione di acquisto di merce contraffatta in rete e dei danni economici che tale acquisto può causare, da un lato, a fronte di un possibile vantaggio economico e sociale, legato al possesso di beni di presunto pregio altrimenti irraggiungibili. Il problema è più sensibile tra i giovani, dai quali il disvalore dell’acquisto fraudolento è meno percepito. Per questo è necessario lavorare sul versante della educazione al disvalore della contraffazione, con una formazione, anche a livello scolastico, finalizzata a promuovere la legalità degli acquisti del consumatore.
Molteplici sono le forme della contraffazione sul web di marchi e altri segni distintivi o di pirateria digitale in violazione del copyright. anche perchè sistono diversi tipi di commercio elettronico. Quest’ultime si possono classificare in Business to Business (B2B), ovvero vendita di merci tra due realtà di business (aziende, enti pubblici o professionisti); del Business to Consumer (B2C), vendita di merci tra operatori di business professionali e consumatori (c.d. e-shoppers); del Peer to Peer (P2P), ove una pluralità di clienti entra in contatto reciproco, vendendo, comprando o scambiando, segnatamente prodotti digitali dell’audiovisivo. Per questo le azioni a contrasto devono essere diversificate anche in base alla piattaforma.
Dal punto di vista delle fattispecie più comuni di siti illegali dediti allo smercio di merce contraffatta, devono essere ricordati alcuni casi molto comuni:
- hacking o defacement consiste in pagine di vendita di merci contraffatte che sono inserite in siti legali, intercettando le ricerche di consumatori inconsapevoli, che sul web ricercano merce legale in rete;
- cybersquatting consiste nell’accaparramento di siti da registrare presso l’ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers), che hanno nomi a dominio corrispondenti a marchi e altri segni distintivi altrui;
- “sounding”, ovvero un nome simile (ad esempio introducendo storpiature dattilografiche) per realizzare una voluta confusione dei nomi;
- “tecniche occulte” che consiste nell’inserimento di codici javascript in un indirizzo o altro, che sono invisibili agli utenti ma che li reindirizzano in siti illegali;
- spam/injection di website di terzi in messaggi pseudo-pubblicitari o in siti o piattaforme ad elevata consultazione, al fine di intercettare i consumatori, deviandoli verso i siti illegali.
Altro fenomeno da considerare è quello del c.d. dark web (o “rete oscura”) come parte del Deep Web (o rete sommersa o invisibile), ossia quella parte del World Wide Web non indicizzata dai comuni motori di ricerca ma raggiungibile attraverso software particolari che collegano internet e la “Darknet” (tra cui i più comuni sono Tor, I2P e Ferente). In particolare il dark web è usato per attività illegali e non solo legata alla contraffazione.
A prescindere da una uguale forma limitata di responsabilità già descritta, le prassi applicative e gli accordi intercorsi tra ISP e aziende, finalizzati a prevenire o regolare i potenziali contenziosi legali con le aziende titolari di marchi o con i titolari di diritti d’autore, ci consegnano alcune soluzioni dalle quali si deve partire.
Una delle prospettive al centro del dibattito internazionale in materia è il passaggio da un mero atteggiamento di Notice and Take Down, ove gli ISP si attivano solo su segnalazione degli interessati, ad un approccio più coinvolgente degli ISP, definito Notice and Stay Down. Il Notice and Take Down è una tutela successiva alla constatazione, da parte degli interessati (in genere i detentori dei diritti, ma anche i consumatori), della presenza in rete di merci contraffatte o di pirateria digitale, che in questo caso inviano una segnalazione all’ISP per farle eliminare. I limiti sono evidenti. Tale procedura implica la necessità di inviare una segnalazione per ogni singola violazione rilevata, ed è quindi estremamente onerosa in quanto comporta il dispiego di un’ampia attività di monitoraggio e di contenzioso con gli ISP, causando elevati costi gestionali aziendali. La procedura di Notice and Stay Down, invece, fa seguire alla singola segnalazione da parte dei titolari di diritti IPR e DPI, che si reputano lesi da contenuti pubblicati o da merci commercializzate sul web, la rimozione dei contenuti da parte dell’ISP di tutte le fattispecie di quell’illecito, prevenendo ed impedendo la reiterazione dello stesso.
Oltre alla rimozione dei contenuti derivante dal rapporto privatistico tra operatore ISP e titolari dei diritti lesi da attività contraffattorie, la modalità più utilizzata con l’intervento dei poteri pubblici è costituita dall’oscuramento dei siti illegali: si tratta di un blocco informatico dell’accesso in Italia alle pagine illecite, con informazione del consumatore circa l’illiceità delle transazioni e dei siti. Tale misura può essere disposta sia in sede giurisdizionale su richiesta degli interessati. È una misura che ha mostrato nell’applicazione limiti evidenti: il blocco, pur utile, è però superabile dai titolari dei siti illeciti deviando il traffico su altri indirizzi internet o mediante la creazione di nuovi siti nella rete. I siti illegali su internet operano peraltro secondo alcune caratteristiche ricorrenti: l’opacità dei meccanismi di attribuzione della titolarità delle risorse internet utilizzate; la parcellizzazione dei carichi di merce; il ricorso a sistemi di pagamento legali ed efficienti; l’adozione di tecniche di vendita idonee a trarre in inganno il consumatore. Va poi ricordato che molti ordinamenti esteri non contemplano nella propria normativa ipotesi considerate criminose in Italia ed in Europa e non contemplano, ad esempio, la misura della confisca.
Innovativo è l’approccio cosiddetto Follow The Money. Con questo si vuole attività impedire la remunerazione economica di tale attività illecita, d’intesa con gli operatori finanziari di supporto alle attività di trading on line.
Importante nella realtà del mercato elettronico è la realizzazione di accordi tra gli stakeholders del commercio elettronico e le aziende produttrici per bloccare la vendita di merci contraffatte, coinvolgendo anche i fornitori di “side services”: dunque siti e piattaforme di e-commerce, social network, web searcher da un lato, titolari dei marchi dall’altro, ma anche trasportatori fisici dei prodotti, il sistema pubblicitario, il circuito finanziario dei mezzi di pagamento (c.d. payment processing: servizi interbancari, carte di credito, moneta elettronica, ecc).
Altro intervento possibile è quello di un ruolo di garanzia svolto da una certificazione di qualità dei siti e delle piattaforme di vendita on line, effettuata da associazioni di categoria e da consorzi, che attesti la loro conformità al complesso di normative che regolano il commercio on line – oltre a quella per il commercio elettronico, quella in tema di lotta alla contraffazione, di tutela del consumatore e di smaltimento dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) – al fine di identificare le “offerte legali”.
In ultimo è necessario realizzare l’identificazione univoca del soggetto che commette illecito e realizzare accordi internazionali sul mutuo riconoscimento degli illeciti.