Esprimo particolare soddisfazione per l’approvazione dell’emendamento dei relatori sull’etichettatura degli alimenti. Ciò è avvenuto in sede di conversione del Decreto Legge “Semplificazioni”, in Senato, anticipando virtuosamente la nostra iniziativa parlamentare, di analogo contenuto, già da qualche tempo depositata come proposta di legge alla Camera dei Deputati (AC 901).
La norma mira a mettere al sicuro nel nostro ordinamento gli effetti positivi già sperimentati a seguito dell’adozione dei decreti ministeriali sull’etichettatura di latte, pasta, riso e pomodoro, destinati comunque a venire meno dal 1o aprile 2020, quando sarà efficace il regolamento di esecuzione (UE) 775/2018 della Commissione, recante modalità di applicazione dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 1169/2011.
La piena trasparenza sull’etichetta degli alimenti risulta essere un valore molto apprezzato dai consumatori italiani, capace anche di portare ad incremento le produzioni territoriali, proprio in forza di una scelta consapevole ed informata di chi acquista il prodotto.
La disposizione appena approvata agisce su due fronti: da un lato mira a dettagliare, mediante un decreto ministeriale da per ciascun prodotto (ad esempio: salumi, succhi di frutta, dolci, ecc.) con una estesa partecipazione di Parlamento, Regioni e associazioni di categoria, i casi in cui l’indicazione del luogo di provenienza degli alimenti è obbligatoria: dovrà trattarsi di ipotesi finalizzate alla protezione dei consumatori, alla prevenzione delle frodi ed alla protezione dei diritti di proprietà industriale e commerciale, delle indicazioni di provenienza, delle denominazioni d’origine controllata e repressione della concorrenza sleale. In questo modo l’Italia sceglie di ampliare, secondo le procedure previste dalla normativa europea, l’ambito della obbligatorietà dell’informazione piena sulla reale provenienza territoriale degli alimenti, oltre i casi già tassativamente previsti dall’articolo 9 del regolamento (UE) 1169/2011. È demandato al decreto ministeriale di stabilire anche per quali categorie specifiche di alimenti l’obbligo sarà vigente, in forza di un comprovato nesso tra le loro intrinseche qualità e il territorio di provenienza. E sappiamo quanto frequente possa essere questa ipotesi nel nostro settore agroalimentare. Quanto al secondo “fronte” di azione, la norma puntualizza che l’indicazione del luogo di provenienza è sempre obbligatoria nei casi delineati dall’articolo 1 del regolamento di esecuzione (UE) 775/2019 della Commissione (che ho già citato), ovvero quando le informazioni che accompagnano l’alimento o contenute nell’etichetta nel loro insieme potrebbero ingannare il consumatore. Si pensi ad una confezione con un’etichetta raffigurante la sagoma di una regione italiana, qualora invece l’alimento non provenga in realtà da quel territorio.
Inoltre, attraverso questo emendamento, la legge 4/2011 viene adeguata alla nuova normativa europea: l’abrogazione dei primi due commi, del 4 e del 4 bis mira a questo obiettivo, eliminando una disciplina che stabiliva un regime di etichettatura non più coerente con i regolamenti vigenti.
Con questa novità normativa il nostro ordinamento si pone, anche rispetto alla disciplina europea, in una prospettiva di massima tutela del consumatore e della trasparenza delle informazioni sulle etichette degli alimenti: anche la scelta di fare riferimento al solo luogo di provenienza, eliminando l’opzione della indicazione del paese di origine, va in questa direzione. Ed infatti, mentre il luogo di provenienza ha necessariamente un legame con il territorio, il paese di origine, in base all’articolo 2 del Regolamento 1169/2011, è un concetto proprio della normativa doganale: nel caso in cui l’alimento abbia in ipotesi subito diverse trasformazioni, il paese di origine è indicato come quello dove è avvenuta l’ultima. È evidente che questa indicazione non raggiungerebbe l’obiettivo che abbiamo in animo, e cioè fare conoscere al consumatore finale quale sia il contesto territoriale di provenienza dell’alimento.
Una intuizione esplicita del legislatore italiano che rimuove gli effetti della regolamentazione europea sull’etichettatura nel caso in cui l’origine o la provenienza sia diversa da quella dell’ingrediente primario e ristabilisce l’obbligo dell’informazione disponibile al consumatore. Ora occorre lavorare bene sui contenuti del decreto, cruciale per garantire la reale efficacia della norma e la sua coerenza con i nostri obiettivi.
Concludo con due riflessioni. La prima – al di là di qualche voce di preoccupazione sul punto – che credo possa pertanto essere agevolmente superata, questa norma ci consente di rendere il nostro ordinamento pienamente coerente con la disciplina europea, adattandola però alle nostre peculiarità territoriali, troppo preziose per non essere tutelate con la massima attenzione dal legislatore nazionale. La seconda è che il livello di consapevolezza raggiunto dai consumatori, in particolare del nostro paese, è ormai molto elevato: oggi più di ieri è essenziale (e pretesa) una piena e trasparente informazione sugli alimenti. Si tratta di un percorso intrapreso da tempo dal quale non si può tornare indietro.