Chi segue le vicende comunitarie sa che nel mese di giugno 2018 la Commissione europea ha presentato al Parlamento europeo e al Consiglio le proposte legislative per la Politica Agricola Comune per il periodo 2021-2027. La nuova Pac è delineata nelle tre seguenti proposte di regolamento, che costituiscono il cosiddetto “pacchetto Pac”: 1) proposta di regolamento recante norme sul sostegno ai piani strategici che gli Stati membri devono redigere nell’ambito della politica agricola comune (COM 2018 – 392); 2) proposta di regolamento sul finanziamento, sulla gestione e sul monitoraggio della Pac (COM 2018 – 393) 3) proposta di regolamento che modifica e aggiorna i regolamenti sull’OCM unica e sui regimi di qualità (COM 2018 – 394).
Come potete ben immaginare tra la Brexit, l’insediamento della nuova Commissione e le incertezze finanziare, dubito che si possa decidere qualcosa prima di un anno. Per questo la Commissione stà già lavorando ad un Regolamento transitorio. Credo che la “nuova PAC” prima del 2023 non la vedremo applicata.
In Commissione comunque abbiamo approfondito le proposte sopra indicate con una serie di audizioni e allo stato attuale vorrei condividere con voi alcune riflessioni.
> Sul Regolamento 392
La programmazione e la gestione della politica è completamente ripensata al fine di focalizzare l’attenzione sui risultati piuttosto che sulla conformità a regole prestabilite con una maggior sussidiarietà tra l’Ue e gli Stati membri. Questo nuovo modello impone una programmazione strategica basata su interventi e indicatori comuni finalizzati a migliorare il conseguimento degli obiettivi, in particolare ambientali, e la coerenza con le altre politiche settoriali. Ciascuno Stato membro dovrebbe elaborare un Piano Strategico Nazionale (Art.91 e successivi) per la totalità del suo territorio in cui, tra l’altro, include la descrizione: a) dei pagamenti diretti; b) degli interventi settoriali; c) degli interventi di sviluppo rurale, prevedendo anche un unico piano finanziario.
Tale impostazione implichi un enorme sforzo di coordinamento con le Regioni che, avendo una competenza costituzionalmente prevista in ambito agricolo, richiedono autonomia sia nella programmazione che nella gestione delle risorse del FEASR a valere sugli interventi di sviluppo rurale. A mio avviso al fine di assicurare coerenza e partecipazione tra strategia nazionale e regionale è indispensabile realizzare una “governance” interna che consenta comunque alle amministrazioni regionali di provvedere alla gestione e all’esecuzione degli interventi previsti nel PSN.
Attualmente il nostro Paese concede i pagamenti diretti sulla base di titoli all’aiuto posseduti dagli agricoltori (che hanno anche la possibilità di acquistare/vendere tali titoli). La proposta di regolamento (Art. 18 e successivi) consente l’abbandono di tale sistema per passare al cosiddetto pagamento unico per superficie ovvero un pagamento annuale uniforme per ettaro ammissibile. Ritengo che il superamento del regime dei titoli all’aiuto al fine di consentire maggior equità nella distribuzione del sostegno spesso legata a situazioni del passato che non trovano più riscontro nella realtà attuale evidenziando enormi distorsioni per cui soggetti che hanno cessato la produzione da oltre dieci anni continuano a percepire pagamenti molto elevati. Si ritiene inoltre che la distribuzione delle risorse in base al pagamento uniforme contribuisca a contrastare la logica della “ricerca del sussidio” e promuova quindi un maggior orientamento al mercato da parte delle aziende agricole.
Da definire anche il concetto di “agricoltore attivo” (Art. 14) in modo tale da conseguire uno degli obiettivi principali che è quello di evitare che il sostegno in ambito Pac sia concesso a coloro che non svolgono attività agricola in maniera significativa e preponderante rispetto ad altre attività. Sarebbe opportuno reintrodurre una “black list” ovvero un elenco di criticità, definito a livello comunitario, che impediscono ad un soggetto di essere considerato agricoltore vero e proprio.
I pagamenti diretti (Art.16) possono essere concessi solo agli agricoltori veri e propri e solo su una soglia minima di superficie ammissibile. Si ritiene che tra i requisiti necessari sia da includere anche un livello minimo di pagamento, pari ad almeno 500 euro, spettante al soggetto richiedente al di sotto del quale l’erogazione dell’ammontare dovuto sarebbe inferiore agli oneri amministrativi e burocratici da sostenere.
La proposta di regolamento prevede la possibilità per lo Stato membro di erogare una somma forfettaria agli agricoltori “piccoli” (Art. 25) che sostituisce tutti i pagamenti diretti. Nella attuale programmazione il pagamento forfettario a titolo “piccolo agricoltore” è di 1250, 00 euro. Sarebbe utile alzare tale soglia a 2000 euro.
Il sostegno per la sostenibilità (Art. 26) è programmato con l’obiettivo di ridistribuire risorse dalle aziende più grandi a quelle più piccole ed è finanziato con le risorse risparmiate grazie all’applicazione della degressività. L’importo può essere differenziato per classi di ettari e si può anche stabilire un numero massimo di ettari ai quali concedere il pagamento. Si ritiene che tale pagamento obbligatorio dovrebbe invece essere facoltativo per lo Stato membro in quanto la sua efficacia, rispetto all’obiettivo previsto della ridistribuzione di risorse da grandi a piccole aziende, è strettamente legata alle caratteristiche proprie dei diversi sistemi agricoli nazionali.
Il sostegno accoppiato (Art. 29 e seguenti) è programmato per aiutare settori e produzioni specifiche (elencate all’articolo 30) ad affrontare eventuali difficoltà, migliorandone la competitività, la sostenibilità e la qualità. Sarebbe opportuno legare tale pagamento a determinate condizionalità quali nello specifico: la sottoscrizione, da parte del beneficiario, di polizze assicurative agevolate sulla produzione oggetto del sostegno accoppiato ovvero la stipula di contratti di cessione che assicurino lo sbocco della produzione oggetto del sostegno.
La disciplina relativa alle Organizzazioni di Produttori (Art. 39 e successivi) resta quella definita nel Regolamento 1308/2013 (il Regolamento sull’OCM della attuale programmazione) che, come noto, non fissa un valore minimo obbligatorio di produzione commercializzabile ai fini del riconoscimento, demandando agli Stati membri la facoltà di determinare tale valore. Sarebbe opportuno che tale valore minimo, pari ad almeno 5 milioni di euro, fosse stabilito al livello unionale.
Con il “capping” (Art. 15) gli Stati membri riducono del 100% l’importo superiore a 100 mila euro di pagamenti diretti spettanti al beneficiario. Prima di applicare tale condizione, gli Stati sottraggono dall’importo da concedere il costo del lavoro, sia retribuzioni connesse ad una attività agricola dichiarata comprese le imposte e gli oneri sociali, sia l’equivalente costo del lavoro regolare e non retribuito connesso ad una attività agricola praticata da persone che lavorano in azienda e che non percepiscono retribuzione ma sono ricompensate mediante risultato economico dell’azienda. Sarebbe opportuno sottrarre dall’importo totale spettante, prima di procedere al capping, anche il costo delle condizionalità ambientali di cui all’articolo 11 stabilito in un ammontare forfettario dallo Stato membro.
> Sul Regolamento 393
La Commissione procede al disimpegno automatico (Art.32 e successivi) , con conseguente riassegnazione delle risorse al bilancio unionale, della parte di un impegno di bilancio relativa agli interventi di sviluppo rurale di un piano strategico della Pac che non sia stata usata per il prefinanziamento o per un pagamento intermedio, o per la quale non sia stata presentata dichiarazione di spesa conforme, entro il 31 dicembre del secondo anno successivo all’anno dell’impegno di bilancio. Si ritiene che dovrebbe essere previsto un tempo più lungo entro il quale procedere al disimpegno, ovvero fino al 31 dicembre del terzo anno successivo a quello dell’impegno di bilancio; è altresì indispensabile che le risorse disimpegnate restino nelle disponibilità dei territori prevedendo eventualmente idonei meccanismi volti a favorire una più appropriata riprogrammazione delle risorse stesse con un intervento “da Roma”. Tale “disimpegno allungato” dovrebbe trovare applicazione anche nel regolamento transitorio visto le difficoltà di alcune regioni a rendicontare.
Sulla valutazione delle performance (Art. 52 e successivi) si deve stare attenti perchè se a determinati interventi non corrisponde un output dichiarato nella relazione annuale sulla efficacia dell’attuazione, la Commissione adotta atti di esecuzione intesi a stabilire gli importi che devono essere ridotti dal finanziamento dell’Unione. Si ritiene che l’arco temporale di 1 anno non sia sufficiente a valutare e verificare il conseguimento degli output e si propone pertanto di considerare almeno un biennio.
Su iniziativa della Commissione i Fondi agricoli (Feaga e Fears) possono finanziare le attività di preparazione (Art. 7), monitoraggio, assistenza tecnica e amministrativa nonché l valutazione, l’audit e l’ispezione necessarie ad attuare la Pac. Tra le attività finanziabili sarebbe da includere la formazione presso gli istituti tecnici e le università vista la complessità dell’attuazione della politica.
La Commissione finanzia azioni che riguardano la raccolta o l’acquisto dei dati necessari per l’attuazione e monitoraggio della Pac (Art. 23) , dati satellitari, geospaziali e metereologici, telerilevamento ecc.. Si dovrebbe consentire alle aziende agricole l’accessibilità a tali dati al fine di disporre di informazioni utili per gestire al meglio eventuali crisi.
> Sul Regolamento 394
La Commissione europea propone di modificare alcuni aspetti della normativa vigente in materia di indicazioni geografiche, con l’intento di semplificare il sistema delle indicazioni geografiche, di accelerarne la registrazione e di rendere più efficiente l’approvazione di modifiche del disciplinare di produzione. Ad avviso della Commissione, tali modifiche renderebbero le indicazioni geografiche più comprensibili per i consumatori e più facili da promuovere, e consentirebbero una riduzione dei costi amministrativi di gestione del sistema. Gli aspetti critici di queste modifiche riguarderebbero, in particolare, il sistema delle autorizzazioni di varietà cosiddette “ibride” e la possibilità di produrre vini “dealcolizzati” e l’etichettatura nutrizionale.
L’Art. 1, paragrafo 6 sostituisce l’articolo 81, paragrafo 2 sulla classificazione delle varietà di uve da vino;
Secondo la Commissione europea, le norme sulla classificazione delle varietà di uve da vino da parte degli Stati membri dovrebbero essere modificate per includere le varietà di uve da vino Noah, Othello, Isabelle, Jacquez, Clinton e Herbemont, che erano precedentemente escluse. Inoltre, per garantire che la produzione vinicola nell’Unione sviluppi una maggiore resistenza alle malattie e utilizzi varietà di viti che si adattino meglio ai cambiamenti delle condizioni climatiche, occorre prevedere disposizioni che permettano di piantare le varietà Vitis Labrusca e le varietà ottenute dagli incroci tra Vitis vinifera, Vitis Labrusca e altre specie del genere Vitis per la produzione di vino nell’Unione.
L’Art. 1, paragrafo 9, modifica l’articolo 93, con riferimento alla definizione di “denominazione di origine” per i vini;
Secondo la Commissione europea, il chiarimento di tale definizione “permetterà ai gruppi di produttori di utilizzare nuovi vitigni varietà di viti, necessari anche in risposta ai cambiamenti e consentirà di motivare adeguatamente le domande in linea con la realtà viticola e con quella enologica”. Inoltre, secondo la Commissione, occorre prevedere disposizioni che permettano di utilizzare denominazioni di origine non soltanto dalle varietà di viti appartenenti alla specie Vitis vinifera, ma anche da varietà di viti ottenute da un incrocio tra Vitis vinifera e altre specie del genere Vitis.
Quindi, vi sarebbe la possibilità di riconoscere come denominazioni di origine vini prodotti a partire da varietà cosiddette “ibride”, ossia provenienti da incroci di varie species, non necessariamente appartenenti a quella vinifere.
E’ necessario valutare attentamente l’impatto dell’introduzione di nuove varietà produttive, che consentirebbe di ampliare l’offerta di prodotto a livello europeo, tenuto conto che attualmente la produzione di vino è possibile solo in determinati areali, che presentano determinati climi. Da un lato, che l’ampliamento delle tipologie di uva ammesse alla produzione, e conseguentemente anche degli «ibridi», potrebbe produrre effetti positivi sul piano della ricerca della resistenza a determinate patologie, migliorando, quindi, qualità e potenzialità produttive. Dall’altro lato, però, l’ampliamento delle superfici produttive comporterebbe un aumento dell’offerta dei prodotti che per l’Italia non è necessariamente un fattore positivo, in quanto si determinerebbe una maggiore concorrenza nella produzione di vino, con una maggiore offerta sul mercato, alla quale, a domanda invariata, potrebbe corrisponderebbe una diminuzione dei prezzi, non sono note le possibili ripercussioni sulla qualità, in quanto un vino prodotto a partire da varietà ibride potrebbe non presentare le identiche qualità organolettiche di un vino DOP, prodotto con varietà della species vinifera.
L’Art. 1, paragrafo 32 si modifica la parte II dell’allegato VII, (aggiungendo i punti 18) e 19) nell’allegato), reca la definizione delle categorie di “prodotti vitivinicoli” per introdurre la categoria dei prodotti vitivinicoli “dealcolizzati” e “parzialmente dealcolizzati”;
La Commissione europea motiva tale scelta in considerazione della domanda crescente da parte dei consumatori di prodotti vitivinicoli innovativi con un titolo alcolometrico effettivo inferiore a quello attualmente stabilito per i prodotti vitivinicoli nell’allegato VII, parte II, del regolamento (UE) n. 1308/2013 e della necessità di consentirne la produzione anche nell’Unione.
L’introduzione nell’ambito delle categorie dei «prodotti vitivinicoli» dei prodotti vitivinicoli «dealcolizzati» e «parzialmente dealcolizzati», suscita notevoli perplessità, stante la diversità dei prodotti in questione rispetto al vino, la cui denominazione risponde a precise caratteristiche. Le produzioni dealcolizzate, potrebbero fregiarsi, nella presentazione, delle stesse denominazioni (vino, spumante, vino frizzante, etc.) tradizionalmente e universalmente riferite al vino. Tale modifica produrrebbe l’effetto di ampliare la produzione a un prodotto sostanzialmente diverso dal vino, come sicuramente si può riscontrare nei prodotti dealcolizzati.
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