Un venerdì di febbraio abbiamo scoperto che il coronavirus era arrivato tra noi e improvvisamente il mondo è cambiato. Nel momento in cui leggete questa riflessione il Governo e il Parlamento stanno lavorando per dare risposte ad una emergenza che nessuno avrebbe realmente immaginato di vivere. Sicuramente tutti noi ci siamo resi conto quanto il nostro sistema economico sia poco resiliente ed è quindi necessario quanto prima ripensare al modello produttivo e sociale per farsi trovare maggiormente pronti la prossima volta.
La Comunità Europea – che dovrà dimostrare oggi più che mai di essere una vera e propria Unione Europea – nasce proprio con la “politica agricola”: food security e food safety. Garantire cibo per tutta la popolazione, cibo di qualità, è un obiettivo primario di ciascuno Stato Europeo e oggi questo obiettivo si ripropone con forza perché una delle preoccupazioni maggiori di ogni Stato colpito dalla pandemia è quella di non far mancare mai il cibo negli scaffali dei supermercati, anche se le difficoltà rispetto ai “periodi normali” sono decisamente aumentate.
Tutto sommato la filiera agro-alimentare ha – per lo meno fino ad ora – tenuto botta, magari qualche settore è più in crisi di altri ma al di là di qualche rincaro dei prezzi, dovuto a minor manodopera sui campi e difficoltà nella movimentazione delle merci, non si riscontrano grosse criticità se le paragoniamo, ad esempio, al settore del turismo o dell’horeca che hanno visto azzerarsi i loro introiti.
Oggi il consumatore è tranquillo perché gli scaffali sono sempre pieni e questo grazie al lavoro dei produttori, della logistica della distribuzione e dell’industria di trasformazione. Dietro tutto questo però ci sono anche delle difficoltà dalle quali nasceranno sia delle azioni nell’immediato, sia, inevitabilmente, ragionamenti per il futuro.
Partiamo dal primo caso, il latte fresco: bar, ristoranti, pizzerie e scuole sono chiuse. Questo ha determinato una rapida contrazione della domanda che sta mettendo in difficoltà alcuni rami del settore. Nonostante sia calata nel mese di marzo anche l’importazione di latte e cagliate dall’estero del 10%, siamo comunque in eccesso di offerta. Alcune aziende hanno risposto spostando la produzione di latte fresco e latte per formaggi freschi in latte UHT o formaggi stagionati anche perché il consumatore sta acquistando prodotti a lunga conservazione molto più frequentemente di prima. Polverizzare latte in Italia non è una risposta efficace perché abbiamo un’unica struttura che risulta satura, difficile portarlo a polverizzare all’estero perché anche gli altri Paesi sono nelle medesime condizioni. Innovativo invece sarebbe costruire una filiera per il latte per neonati che sicuramente permetterebbe anche di aiutare le famiglie in difficoltà economiche. In questo momento di crisi globale, anche i canali export sono rallentati e ciò determina ulteriori difficoltà. In sofferenza anche quei caseifici che non avendo una rete locale o non avendola più sono costretti a rallentare. E’ stata messa in campo anche una misura di ritiro dei prodotti lattiero-caseari da dare agli indigenti per alleviare il momentaneo surplus di prodotto ma a lungo termine dovranno essere fatte altre riflessioni come la necessità di una grande organizzazione della filiera allevatoriale, la “messa in asciutta”, anche se le passate misure in tale direzione non hanno dato grandi risultati. In alcune regioni si sta autorizzando l’uso dei sottoprodotti del latte in biogas e il vari ministeri stanno anche pensando allo spandimento nei campi ma, pensare a questo, sinceramente, a me fa venire la pelle d’oca.
Il vino ha avuto un anno, il 2019, di tutto rispetto, vi era qualche eccedenza di vino sfuso dell’anno precedente ma le previsioni ci facevano pensare bene, poi è arrivato il COVID-19 che oltre alle persone ha interrotto molti flussi commerciali esteri, oltre a bar e ristoranti. Come Italia produciamo oltre il 200% di quello che ci serve quindi o cominciamo a bere di più o dobbiamo, anche in questo comparto, pensare ad altro. La prima misura in discussione è la donazione volontaria delle giacenze alle distilleriedove il contributo pubblico copre i costi di trasporto e trasformazione in alcool denaturato da dare alla Protezione Civile per le grandi richieste in questa fase. Chiamiamola distillazione di solidarietà. Per il dopo, forse lavorare per sostenere, sempre volontariamente una campagna di “vendemmia verde” dove il viticoltore decide di non produrre accettando una compensazione.
Il settore florovivaistico è in forte difficoltà perché da un giorno all’altro sono stati chiusi i canali commerciali mentre le piante continuano tutti i giorni ad avere bisogno di assistenza. Per loro l’unica strada al momento praticabile, al di là di qualche “debole apertura”, è una iniezione di liquidità per permettere loro di coprire tutti i costi e metterli in condizioni di ripartire.
Se analizziamo il report ISMEA, la carne bovina ha visto una contrazione dei tagli di pregio a seguito della chiusura dei ristoranti e importando quasi il 50% di quello che ci serve, alcune difficoltà e rincari sono fisiologici.
Sul settore suino, si registra un calo della produzione del 20% legato al rallentamento dei macelli, i prezzi rimangono stabili ma il canale delle stagionature è rallentato causa contrazione dell’export dei prodotti DOP e chiusura canali horeca.
Anche l’approvvigionamento dei mangimi sarà una questione da mettere al centro dell’attenzione, perché potrebbe determinare un’impennata dei prezzi.
Il settore avicolo “va forte”, è l’unico settore zootecnico per quale siamo autosufficienti e al di là delle necessarie riorganizzazioni aziendali per garantire la sicurezza dei lavoratori, non si registrano grossi problemi. Diverso il settore del “pollo da cortile” per il quale la chiusura dei punti vendita per gli hobbisti e i mercati agricoli è stata determinante.
La filiera ortofrutticola, il maggiore problema è nella carenza di manodopera, sono circa 250mila i lavoratori stranieri che “hanno paura a tornare”, nonostante gli accordi tra i Paesi.
Questo è un tema caldo ora più di ieri. L’incontro tra domanda e offerta di lavoro nel settore agricolo, settore che funziona molto “a chiamata” va risolto una volta per tutte. Il tema dei voucher vede oggi contrapposti imprese e sindacati, ma credo, che una mediazione si possa trovare, ad esempio re-introducendo il libretto del lavoratore agricolo, magari in formato digitale, dove lo stesso la mattina può indicare dove sta andando e per chi sta lavorando.
Prima di chiudere, ancora una riflessione la vorrei fare sul comparto cerealicolo. Tutte le ultime rilevazioni segnano un trend in lieve crescita. Contenti saranno i produttori, meno i pastai e i fornai. Certo è, che con una dipendenza dall’estero del grano tenero di oltre il 60% e del duro di circa il 30%, l’andamento dei prezzi al consumo può essere fortemente influenzato dalla possibilità di movimentazione.
Sicuramente è da premiare l’impegno della grande distribuzione e di tutti gli operatori della logistica e della trasformazione che hanno visto un maggiore impegno e una organizzazione che ha dovuto aggiornarsi in base alle nuove disposizione. Molte aziende si sono attrezzate per il commercio on-line e la consegna a domicilio anche perché i mercati hanno visto forti restrizioni, sicuramente chi non si è attrezzato è in crisi mentre per gli altri si sono aperte strade anche per il futuro.
I cash and carry non possono vendere i loro prodotti, servirebbe permettere loro di farlo, sempre in sicurezza almeno per i generi alimentari. Allo stesso tempo un pensiero va a tutta la filiera dei ristoranti che hanno le celle frigo piene di cibo che non riusciranno a distribuire. C’è chi si è attrezzato con la consegna dei pranzi a domicilio ma sicuramente ci sarà dello “spreco alimentare” e per il futuro occorrerà pensare a costruire una “rete dello spreco alimentare”, magari in mano alla Protezione Civile.
Sul tema liquidità alle imprese molto è stato fatto ma credo che, per quanto riguarda l’agricoltura, occorra uno sforzo ulteriore. Le garanzie Ismea nel “Cura Italia” , potenziate dal “Decreto Liquidità” sono un primo passo ma occorrerà essere veloci nelle varie operazioni di erogazione.
Ragionamenti analoghi si possono fare settore per settore ma, credo che sia opportuno oggi in maniera decisa fare una programmazione agricola anche in base alle potenziali crisi, pensare agli stoccaggi, alla logistica, alla flessibilità del sistema, alla gestione del fresco. Dobbiamo sicuramente aumentare la nostra capacità produttiva e allo stesso tempo recuperare suolo agricolo. Lavorare per ripopolare la montagna e far capire alle persone che lavorare in agricoltura è un opportunità. Oltre la politica, al tavolo di lavoro occorrono esperti che invito a raccogliere la sfida. Sicuramente, un passo indietro per “i campanili regionali” è necessario, e l’opportunità di costruire un piano strategico agricolo, sostenibile e resiliente mi auguro lo raccolgano in tanti.