E’ da tempo che rifletto su un tema molto complesso: Chi pagherà le pensioni nel futuro se i pensionati saranno in numero maggiore dei lavoratori? Come mai accade questo? C’è una soluzione?

indicatori demografici

Per le riflessioni che seguiranno devo ringraziare il materiale che mi ha fornito il Presidente dell’ISTAT Gian Carlo Blangiardo.

Tab.1 Piramide demografica Italia

Partiamo dal dato europeo. Negli anni ’60 si erano sfiorati gli 8 milioni di abitanti e ad oggi si fatica a mantenerne il numero sopra i 5 milioni. In parallelo, il saldo naturale (differenza tra natalità e mortalità), che è stato largamente positivo in ogni paese di EU 28 sino all’inizio degli anni ’70, è diventato oggi negativo in circa la metà dei membri dell’Unione e dal 2013 il sorpasso della mortalità sulla natalità è presente il nove dei tredici paesi dopo l’allargamento del 2004 (si salvano solo Slovacchia, Slovenia, Malta e Cipro), e in quattro dell’Europa a 15: Italia, Germania, Grecia e Portogallo. I dati inoltre ci mostrano che nemmeno il contributo migratorio riuscirà ad invertire questa tendenza.

Il 17 marzo del 1861 erano 26 milioni gli italiani che entravano a far parte del Regno d’Italia; avevano un’aspettativa di vita di circa 35 anni e metà della popolazione aveva non più di 23,8 anni (età mediana). Nel 1984 in Italia vivevano 56 milioni e 500 mila abitanti, nascevano 598 mila bambini, per la prima volta meno di 600 mila dai tempi dell’Unità Nazionale, con un saldo naturale (differenza tra nati e morti) comunque positivo per oltre 60 mila unità; il nostro Paese inoltre accoglieva solo poco più di 400 mila stranieri, a fronte dei 6 milioni attuali. Nel 2018 sono nati appena 439.747 mila bambini (1,29 figli per donna) e al 1° gennaio 2019 la percentuale di ultra 64enni ha raggiunto in Italia circa il 23 per cento (era il 12 per cento quarant’anni fa). Oggi l’Italia ha una popolazione più che raddoppiata rispetto al 1861 (59 milioni) con una vita attesa di 83 anni e un età mediana di 47,2 anni. Il bilancio demografico del 2020 indica in 404 mila il totale dei nati nel complesso del Paese, meno della metà degli 893 mila che mediamente hanno segnato gli anni della nostra storia. Al tempo stesso, la drammatica contingenza legata a Covid-19 accredita, con 746 mila morti, un valore che supera di quasi 200 mila unità il livello medio nel bilancio del passato.

Le statistiche ci testimoniano chiaramente come l’evoluzione demografica italiana sia andata via via caratterizzandosi, più di ogni altra cosa, per una bassa natalità associata alla progressiva conquista di una vita sempre più lunga.

Tab. 2 Numero di nati in Italia

Questi cambiamenti, in assenza di significative misure di contrasto, potrebbero determinare ricadute negative sul potenziale di crescita economica, con impatti rilevanti sull’organizzazione dei processi produttivi e sulla struttura e la qualità del capitale umano disponibile; non mancherebbero altresì di influenzare la consistenza e la composizione dei consumi delle famiglie, con il rischio di agire da freno alla domanda di beni e servizi con altrettanti effetti significativi sul livello e sulla struttura della spesa per il welfare.

D’altra parte, se oggi garantire un’assistenza dignitosa a quasi 14 milioni di ultra64enni sembra, oltre che doveroso, ancora possibile, conviene interrogarsi “se” e “come” saremo in grado di soddisfare la stessa domanda anche solo tra vent’anni, allorché gli anziani saranno saliti di altri 5 milioni. Nella Tab.1 è facile vedere come “il grosso” della popolazione maschile e femminile si stia spostando verso un età sempre più avanzata e la domanda di come faranno “quelli più giovani” che lavorano a produrre** beni e servizi per loro, per quelli in età scolare, per chi non può lavorare o che non lavora più e per chi il lavoro non lo ha?

Tab. 3 Reddito netto annuale delle famiglie per numero figli minori

Come riferisce nei suoi lavori il Dott. Blangiardo, per affrontare seriamente il problema dell’insufficiente ricambio generazionale, come ci dimostrano i dati, sino ad oggi è stata la logica del contrasto alla povertà a dominare le scelte di politica familiare, non il sostegno alla natalità. Infatti tutte le misure introdotte sono state legate a soglie di reddito, escludendo in questo modo gran parte delle famiglie da qualunque forma di supporto alla genitorialità.

Tab. 4 Tasso natalità a confronto

Le esperienza di altri paesi (esempio il quoziente familiare in Francia o assegno fisso per figlio in Germania non legato al reddito) ci mostrano che l’unica efficace strategia di contrasto alla denatalità è quella derivante dalla combinazione tra servizi di cura accessibili, misure di conciliazione tra maternità e lavoro e interventi fiscali e di supporto economico concepiti anche a favore della classe media. Da qui dovremo partire e personalmente promuoverò una serie di incontri e dibattiti su questo tema.

 

**Se la produttività totale dei fattori (PTF) non cresce, per forza di cose cresce il debito pubblico.