La seguente intervista è stata rilascia a Gorini Gloria, neolaureata in Relazioni Internazionali e Cooperazione allo Sviluppo presso l’Università per Stranieri di Perugia per una tesi di laurea sul tema.
In quale misura il M5S è impegnato politicamente rispetto al TTIP?
Il TTIP, non ostante questo acronimo quasi impronunciabile, è, al momento, una delle questioni più rilevanti per i cittadini europei, nel senso che la conclusione di questo accordo da parte dell’Ue avrà un impatto importante sugli oltre 500 milioni di consumatori europei. Il Movimento è stata la prima forza politica che ha portato all’attenzione del Parlamento la questione attraverso il deposito nel novembre 2013 di una interpellanza a mia prima firma con la quale abbiamo espresso tutte le nostre perplessità e tutti i rischi connessi alla deregolamentazione che si instaurerà con questo accordo senza che sia prevista alcuna azione di difesa in caso di “attacchi” economico commerciali da parte degli USA. (http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=2/00205&ramo=CAMERA&leg=17)
Tra le priorità che abbiamo segnalato al Governo c’è senz’altro quella di desecretare gli atti negoziali. A tal proposito, nonostante le numerose sollecitazioni sia da parte nostra che dei movimenti NO TTIP, il mandato negoziale è stato reso pubblico diciamo – a grandi linee- solo il 9 ottobre 2014 ed ad oggi non è ancora possibile consultare il testo completo. Come si legge dalla replica del Governo al link indicato, l’esecutivo è stato abbastanza vago o almeno non ha voluto esprimere chiaramente la propria posizione. Dopo questo atto ne sono seguiti altri, come il Question Time, sempre a mia prima firma) n° 791 del 29 aprile 2014 (http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=3/00791&ramo=CAMERA&leg=17).
Non soddisfatti delle vaghe ed imprecise risposte e considerazioni del Governo, il Movimento ha depositato una mozione, la n. 490 del 9 giugno 2014, sempre su mia iniziativa. L’atto è disponibile a questo link: http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=1/00490&ramo=CAMERA&leg=17
Con la mozione chiedevamo: 1) di riferire periodicamente al Parlamento in merito agli sviluppi delle trattative e, nell’ottica di una più ampia partecipazione democratica, a valutare l’opportunità di indire un referendum di indirizzo; 2) di rivedere nelle opportune sedi, i termini dell’accordo al fine di escludere qualsiasi intesa che di fatto limiti la portata delle leggi della Repubblica italiana ed in particolare che si riconsideri il meccanismo di composizione delle controversie tra investitori e Stati escludendo la previsione di un organismo terzo rispetto ai tribunali tradizionali; 3) che il partenariato si articoli su assetti legislativi quanto più omogenei e preveda forti tutele per l’agricoltura comunitaria; 4) che siano esclusi, dall’ambito dell’accordo, temi fondamentali, quali: la gestione del servizio idrico integrato e i servizi pubblici locali, le materie di carattere sanitario, fitosanitario e di conservazione ambientale al fine di mantenere l’attuale sistema di tutela dei diritti sociali e del lavoro, nonché che siano preservati alcuni beni comuni quali acqua e terra/cibo, e che si prevedano garanzie di accesso ai servizi essenziali; 5) che si svolgano adeguate consultazioni pubbliche attraverso l’attivazione di tavoli di lavoro partecipati volti a informare e coinvolgere i cittadini, le associazioni e la società civile in merito alle ragioni e agli effetti di un tale accordo e alle conseguenze che esso avrebbe sui rapporti politici e diplomatici con gli altri partner commerciali quali i cosiddetti BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica); 6) che si introducano adeguati meccanismi di salvaguardia degli interessi produttivi degli Stati membri, in particolare di quelli dell’area mediterranea, qualora la Banca centrale europea decidesse di innalzare i tassi di interesse dell’eurozona, posto che il mantenimento di un obiettivo di cambio con il dollaro in rivalutazione genererebbe insormontabili difficoltà per le finanze pubbliche nazionali; 7) di richiedere, a norma dell’articolo 218 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, una volta concluso l’accordo, il parere della Corte di giustizia dell’Unione europea circa la compatibilità delle disposizioni in esso contenute con quanto disposto dai Trattati, con particolare riferimento al meccanismo di risoluzione delle controversie tra investitore e Stato.
Il Governo si è però impegnato solo su alcuni punti, ovvero: a riferire periodicamente al Parlamento in merito agli sviluppi delle trattative, ad intervenire presso le competenti sedi comunitarie affinché: a) il partenariato si articoli su assetti legislativi quanto più omogenei e preveda forti tutele per l’agricoltura comunitaria; b) siano esclusi dall’ambito dell’accordo i beni fondamentali, quali la gestione del servizio idrico integrato e i servizi pubblici locali, ponendo in essere ogni iniziativa al fine di evitare un abbassamento degli standard nazionali di protezione ambientale, di sicurezza dei lavoratori, di tutela occupazionale, nonché delle normative di sicurezza e di salute pubblica; c)si svolgano adeguate consultazioni pubbliche attraverso l’attivazione di tavoli di lavoro partecipati volti a informare e coinvolgere i cittadini, le associazioni e la società civile in merito alle ragioni e agli effetti di un tale accordo e alle conseguenze che esso avrebbe sui rapporti politici e diplomatici con gli altri partner commerciali, quali i cosiddetti BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica).
In base a quali modalità il M5S ha preso e continua a prendere una posizione tendenzialmente di opposizione al TTIP?
Il M5S sa bene che non si possono interrompere gli scambi commerciali e che è anzi indispensabile intrattenere relazioni commerciali con gli Stati Uniti come con tutti gli altri Paesi del mondo. La questione è : esiste, o meglio, dovrebbe esistere, un limite alla libera circolazione delle merci o tutto e permesso? A questa domanda sono i numeri che rispondono. Lo studio leader per la valutazione dei benefici economici del TTIP è quello realizzato dal CEPR, dal titolo “Reducing Transatlantic Barriers for Trade and Investment”. L’analisi riporta una valutazione comparativa dell’impatto sul Pil europeo nel 2027 evidenziando che in caso di realizzazione di una “full FTA” (ovvero una zona di libero scambio, con pieno abbattimento delle barriere interne), il beneficio sarebbe dello 0.48% in più del Pil (spalmato su 13 anni e con un aumento del tasso di crescita medio europeo dello 0.03% l’anno circa)!
Per quanto riguarda gli aspetti legati alla sicurezza alimentare, in un suo rapporto, il Center for Disease Control and Prevention degli Stati Uniti spiega che negli USA circa 48 milioni di persone ogni anno sono colpite da “foodborne illness”, ossia patologie causate da alimenti non sicuri, che per circa 3000 persone potrebbero avere conseguenze letali. Nel nostro continente il sistema di allerta rapido su alimenti, mangimi e materiali a contatto (RASFF), di cui fanno parte, oltre ai 27 Stati membri UE, Norvegia, Liechtenstein, Islanda e Svizzera, nel 2009 ha registrato solo 557 notifiche di allerta. Un dato più generale sull’Europa, risalente al 2011, riporta 70.000 persone colpite da patologie causate da alimenti e 93 morti. Dati che confermano come la regolamentazione europea sia da considerarsi la più efficace a livello mondiale. Queste due osservazioni devono innescare un’altra domanda: chi vuole il TTIP? A questa domanda si risponde facilmente leggendo l’ordine esecutivo 13534 del 2010 firmato da Obama dal titolo “Iniziative nazionali di esportazione”. Questo fa riflettere sulla natura dell’accordo che ad oggi molti considerano una” NATO economica” e sulle conseguenze a livello di geopolitica che tale accordo comporterebbe. Il pericolo di innescare un “vincolo con il dollaro” per volere degli USA, in quanto, oggi l’euro stà mettendo a rischio l’economia americana è alto. In altri termini, un sistema che rinforza la Germania nel suo ruolo di venditore netto di beni e servizi al resto del mondo (euro), costringe gli Usa a un ruolo di acquirente di ultima istanza, di sostegno unico e solo della domanda mondiale, ruolo che, oltre a non essere sostenibile ad infinitum (soprattutto se lo status di “moneta del mondo” acquisito dal dollaro viene messo in discussione) non è sempre compatibile con gli obiettivi interni della politica economica statunitense. Per questo convintamente diciamo NO a questo tipo di vincolo che, farebbe solo gioco agli USA.
Esiste un legame tra il Partenariato Transatlantico e gli obiettivi di politica estera Italiana? In particolare, la posizione assunta dal M5S rispetto al TTIP, rientra in un’ottica di politica estera oppure riguarda una sfera più circoscritta e settoriale?
Penso di aver risposto sopra. Aggiungo solo, che per evitare di essere “schiacciati” da paesi più forti, nella nostra mozione abbiamo chiaramente chiesto, al punto 6, meccanismi adeguati per far si che la FED , svalutando il dollaro, non fagocitasse l’euro.
Quanto influisce la volontà di salvaguardare l’interesse nazionale nel prendere posizione rispetto al TTIP? Ad esempio, in quale misura questioni come effetti sull’agricoltura italiana e segretezza negoziale possono colpire l’interesse nazionale?
E’ chiaro che in un accordo del genere ci saranno vinti e vincitori da entrambe le parti. Gli USA hanno fattorie immensamente più grandi e meccanizzate delle nostre e nel complesso sono grandi produttori di materie prime come cereali (molti dei quali transgenici) e carne non lavorata. Viceversa l’Italia è “forte” nei prodotti trasformati. Questa competizione metterebbe a rischio sicuramente i piccoli produttori che non avrebbero strumenti adeguati per difendersi e la logica della “competizione globale” determinerebbe una “selezione darwiniana” dove vince quello che mette in vendita il prodotto al prezzo più basso senza altri parametri associati. Che succederà a quelli che perderanno il lavoro? Se ad esempio l’industria dei cereali italiana fallisce, sarà possibile ricollocare tali addetti in un settore, ad esempio, come quello della “trasformazione” dei prodotti? A questa domanda nessuno risponde. La segretezza e l’assenza di dibattito su tali temi rende ancora pìù triste la questione.
Nel corso delle negoziazioni transatlantiche, in che modo può essere inquadrato il rapporto tra europeismo ed atlantismo?
Come ho detto sopra, in molti riteniamo che questo sia una NATO economica e tale “legame” va visto in un ottica non solo commerciale. In sostanza è un rafforzamento degli USA che “utilizzerebbero” l’UE come stato cuscinetto.
Qualora l’esito delle negoziazioni fosse positivo, il TTIP potrebbe, ed eventualmente in quale misura, influenzare regole, pratiche istituzionalizzate e mission del WTO?
La politica commerciale globale promossa dal WTO e dagli accordi di Dhoa si è spostata dagli accordi multilaterali a quelli bilaterali, direzione sulla quale stanno convergendo tutti i paesi. Risultato si creeranno “fazioni” perchè alla fine “regole uguali per tutti” non le vuole nessuno.
La potenziale conclusione del TTIP che tipo di “effetto domino” potrebbe innescare sui Paesi non coinvolti direttamente nelle trattative, come i BRICS?
Non so se si concluderà il TTIP, almeno nella sua versione iniziale perchè Obama stà terminando il suo mandato e la Germania, deus ex machina dell’euro, non vuole perdere la supremazia delle esportazioni. Sicuramente, come detto prima probabilmente ci sarà una rincorsa a chiudere legami commerciali bilaterali, un esempio è il TPP o il Mercosur.
Le finalità geopolitiche del TTIP, più latenti ma altrettanto importanti rispetto agli scopi puramente commerciali, potrebbero alterare l’attuale assetto multipolare?
Su questo punto vorrei invitare i lettori ad una riflessione aggiuntiva. Nella pratica cosa vuole fare il TTIP? Vuole aumentare gli scambi commerciali togliendo le barrire non tariffarie. Interviene anche sulle barriere tariffarie, i dazi, ma quest’ultimi in termini economici sono irrilevanti. Le barriere non tariffarie sono oggettivamente delle limitazioni all’esportazione o all’importazione e nascono per “proteggere” un paese al fine di salvaguardare le proprie produzioni con lo scopo di mantenere sul proprio territorio il “valore” di quanto prodotto. Ad esempio una barriera non tariffaria è il costo ambientale delle produzioni, le tutele del lavoro, le misure fitosanitarie, una restrizione quantitativa ecc. Pertanto esse sono il risultato di un certo modo di “intendere le cose” che è legato all’assetto istituzionale del paese, alla propria storia e alla cultura della comunità che lo vive. Un certo assetto istituzionale di per se è unico e non si puo’ dire che è meglio di un altro. La competizione quindi non può essere fatta cancellando un assetto istituzionale, una cultura, una storia. Il TTIP ha questo obiettivo, togliere le barriere non tariffarie, imporre un cambiamento “dall’alto” agli usi e costumi di una comunità senza che questa abbia o meno la voglia di farlo. In questo modo l’unico parametro di concorrenza sarà il prezzo del bene (merce). Che ne sarà del made in italy ad esempio? Noi siamo famosi per la dieta mediterranea, per prodotti che nascono con una certa cura del territorio ecc ecc. Se domani varrà solo il prezzo e non la “nostra storia” come possiamo pensare che le nostre aziende possano sopravvivere alle multinazionali statunitensi? Il TTIP è un aggressione al nostro mercato, serve agli USA ha impadronirsi di nuovi consumatori (non più cittadini) che allettati, in un momento di crisi, dal prezzo più basso dei prodotti industriali cederanno “valore” ad un paese che non è più il nostro. Da noi sarà il deserto. La storia ci insegna che i trattati li fanno (o li impongono) i paesi più forti e non certo per fare l’interesse dei più deboli. Un motivo in più per opporsi.
Secondo Lei, la clausola nota come ISDS (Investor-State Dispute Settlement) rappresenta una questione cruciale al cuore del TTIP oppure di secondo ordine rispetto alla questione dell’armonizzazione normativa?
La clausola di salvaguardia nasce per garantire l’investimento da parte di un privato, impresa o multinazionale in un paese straniero dove esistono regole diverse da quelle del pese di origine. Facciamo un esempio. Io faccio un investimento in un paese A e poi quello Stato mi espropria tutto. Questo non è giusto e se così fosse nessuno investirebbe “fuori casa” senza garanzie. Altro fatto è che la multinazionale possa fare causa ad uno Stato perchè questo introduce un reddito minimo che è superiore a quello che la multinazionale paga al dipendente (caso Veolia-Egitto). Come questo ci sono molti altri esempi come la causa che la Gemania ha con la Vattenfal perchè ha deciso di dismettere il nucleare o la Philip Morris contro l’Austarlia perche il paese ha deciso di fare una campagna contro il fumo. Nel Mondo ci sono circa 80 cause del genere. Oscuro è anche l’arbitrato: chi sono gli avvocati? Chi li paga? La causa è pubblica? Esiste ricorso? Questi aspetti sono oscuri e fintanto che non vi sia chiarezza io non firmerei mai una clausola del genere.
Quali sono le principale motivazioni che spingono il M5S a criticare il partenariato?
Detto nei passaggi precedenti.
Secondo il punto di vista del M5S vi sono eventuali aspetti positivi del trattato? E se si, quali?
E’ difficile dire questo va bene e questo va male senza immaginare l’assetto complessivo. Sicuramente se l’Italia avessa una moneta sovrana non sarei così contrario ad un accordo commerciale con un paese, per principio, così diverso dal nostro.
Per concludere, sarebbe possibile accedere a dei documenti aggiuntivi sull’argomento oltre a quelli disponibile in rete?
Io ho una raccolta di documenti inerenti al TTIP che sono stati consegnati dalla Commissione e che metto a disposizione liberamente sul mio blog (www.filippogallinella.it) sotto l’area download.