Tutti ci auguriamo che le crisi non siano irreversibili tantomeno quella del settore lattiero caseario. È però evidente che la liberalizzazione della produzione ha evidenziato la fragilità del sistema e in particolar modo delle piccole stalle. Secondo una stima contenuta in uno studio presentato al Senato due settimane fa, è emerso che stalle con circa 150 capi che producono in media 9 tonnellate di latte l’anno (media italiana 8,4, quella europea circa 10), non guadagnano nulla. Considerando che quasi il 50% delle stalle italiane (33mila in totale) hanno meno di 20 capi e che si trovano in zone svantaggiate o di montagna, vuol dire che se non si fa nulla nel giro di pochi anni sarà una carneficina sociale.
Visto che, come riportano i dati, la produzione di latte aumenta mentre i consumi diminuiscono, occorre riorganizzazione a livello di Unione Europea un contingentamento, reintroducendo delle ‘quote camaleonte’, ovvero dei limiti quantitativi che, rispetto al passato, siano modulabili in base alle oscillazioni di domanda e offerta e, a livello nazionale, lavorare su tracciabilità, accordi di filiera e contratti che tengano conto sia di una parte di costo fissa che di una parte variabile, legata alla qualità della materia prima e al mercato, in modo da bilanciare i rapporti di forza tra produttore e trasformatore e quindi avere un valore aggiunto del prodotto da distribuire.
Infine, per le aziende di montagna, non possono essere considerate solo ‘stalle che producono non a prezzi di mercato’ ma andrebbero rivalutate come ‘presidi del territorio’ che impediscono il dissesto idrogeologico e alimentano il turismo”.
Chiediamo che il Governo intervenga con aiuti puntuali chiedendo alla Ue misure a sostegno che guardino alla ruralità anziché al mercato, come abbiamo più volte chiesto, inserendole innanzitutto tra gli impegni di revisione della Pac a medio termine e che s’impegni affinché lo Stato regolamenti il mercato per fa in modo che la liberalizzazione selvaggia non travolga i produttori italiani.