C’era una volta il servizio universale postale, quel servizio che oggi il Governo vuole smantellare caricandone gli oneri sulle spalle dei cittadini, in particolare delle fasce più deboli della popolazione. Secondo il piano strategico, che Poste ha presentato il 16 dicembre scorso, a partire dal 13 aprile, Poste Italiane vorrebbe chiudere 455 uffici postali e ridurre gli orari di apertura in altri 608 di cui 33 in Umbria.
Fatta questa premessa, voglio farvi un po’ la storia. Come accennato Poste Italiane S.p.a. ha presentato il 16 dicembre scorso il nuovo Piano strategico 2015-2019. Il Piano indica una possibilità di fatturato in crescita verso i 30 miliardi di euro. In questo quadro, però, si inserisce l’intervento di privatizzazione messo in atto dal Governo che intende presumibilmente scorporare la realtà aziendale privatizzando tutto il settore finanziario (per intenderci quello positivo e che crea grandi utili che potremmo chiamare, per semplicità, la c.d. good company) e lasciando in mano pubblica il settore dedito al servizio postale universale (da ritenersi la c.d. bad company visto che non produce utili ma comporta un costo per lo Stato). Consapevole delle inevitabili ricadute, il Governo sta portando avanti, anche con l’avallo di Caio (Amministratore Delegato di Poste) una politica di razionalizzazione del servizio postale universale. Tale razionalizzazione si sta articolando in: una riduzione dei servizi e una chiusura di numerosi uffici postali che secondo il piano, a partire dal 13 aprile, Poste Italiane vorrebbe chiudere 455 uffici postali e ridurre gli orari di apertura in altri 608.
Per quanto riguarda il primo punto, è stato lo stesso Governo ad incentivare questo processo di razionalizzazione. Esempio lampante è quanto stabilito nella scorsa legge di stabilità (art. 23) quando Poste Italiane S.p.A. è stata autorizzata, in presenza di particolari ragioni di natura infrastrutturale, a derogare ai propri obblighi di servizio universale fornendo tale servizio a giorni alterni “in ambiti territoriali con una densità inferiore a 200 abitanti/kmq”. Non solo, è stato anche previsto che tale deroga, che si traduce in una riduzione sostanziale dei servizi in favore dei cittadini nelle zone più svantaggiate, possa gravare al massimo a carico di un quarto della popolazione italiana (il limite precedentemente in vigore era inferiore, pari ad un ottavo). Per quanto attiene il secondo punto, il piano di razionalizzazione dovrebbe determinare, a livello nazionale, la chiusura di ben 455 uffici postali e la riduzione degli orari di apertura in circa 608 uffici determinando dunque una grave diminuzione della qualità e della fruibilità del servizio fornito alla clientela che risiede in aree svantaggiate oltre che della tenuta occupazionale dell’azienda.
In tutto questo quadro, ancora più ingiustificati appaiono i 27 atti di sindacato ispettivo di denuncia per la chiusura di singoli uffici postali presentati, dall’inizio della legislatura ad oggi, dai parlamentari del partito democratico che hanno prontamente invece votato per la privatizzazione e la deroga al servizio postale universale contenuta nella legge di stabilità. Infine, sempre nella legge di stabilità, è stata modificata la durata del contratto di servizio nonché la modalità di approvazione dello stesso. Anziché avere una durata triennale, il prossimo contratto durerà cinque anni e non verrà sottoposto al c.d. vaglio parlamentare.
In estrema sintesi, a il Governo sta srotolando il tappeto rosso a chi vorrà investire in Poste: introiti assicurati almeno fino al 2020, nessun obbligo di ricevere il parere dei cittadini per il tramite dei suoi rappresentanti in Parlamento e deroga agli obblighi di servizio previsti per contratto e per legge. Di seguito un articolo pubblicato sul fatto quotidiano recentemente che ripercorre in dettaglio alcuni aspetti: http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/02/19/poste-italiane-un-nuovo-servizio-universale-per-scongiurare-la-chiusura-degli-uffici/1438206/
Sempre sul Piano si preveda un unico Gruppo integrato, focalizzato su 3 aree principali: Logistica e Servizi Postali, Pagamenti e Transazioni, Risparmio e Assicurazioni che, da previsioni sembrano ci sia possibilità di fatturato intorno ai 30 miliardi di euro, una profittabilità che dovrebbe tornare a crescere, investimenti in piattaforme e servizi digitali per circa 3 miliardi di euro, lo sviluppo nella logistica pacchi con obiettivo di quota di mercato superiore al 30% nel segmento business to consumer; piattaforma per i pagamenti digitali, l’ingresso di 8000 nuove persone (50% nuove professionalità), la riqualificazione di altrettante e infine, la ridefinizione del Servizio Universale postale (S.U.) in quanto considerato disallineato rispetto ai reali bisogni delle famiglie e non più sostenibile dal punto di vista economico, prima della firma del nuovo Contratto di Programma 2015\2019 prevista entro il 31 marzo 2015.
Le proteste sono all’ordine del giorno della stampa e le principali preoccupazioni rappresentate dipendono dal timore che certe decisioni assunte unilateralmente da Poste S.pa sulla chiusura di sportelli e uffici in tutta Italia provochino una grave diminuzione della qualità e della fruibilità del servizio fornito alla clientela che risiede in aree svantaggiate, ma anche preoccupanti conseguenze sulla tenuta occupazionale del personale attualmente addetto presso le agenzie di recapito.
Sul primo punto, appare utile ricordare e, una verifica in tal senso sarebbe certamente doverosa, che la delibera n. 342/14/Cons dell’Agcom che, nel modificare criteri di distribuzione degli uffici postali, ha disposto specifici divieti nei confronti di Poste a tutela degli utenti del servizio postale universale che abitano nelle zone remote del Paese nella redazione del piano annuale di razionalizzazione degli uffici postali. In particolare, sono state previste particolari garanzie per i comuni caratterizzati da una natura prevalentemente montana del territorio e dalla scarsa densità abitativa e per le isole minori in cui sia presente un unico presidio postale. La delibera, inoltre, impone a Poste di avvisare con congruo anticipo le istituzioni locali sulle misure di razionalizzazione, al fine di avviare un confronto sull’impatto degli interventi sulla popolazione interessata e sulla possibile individuazione di soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale. Sul secondo punto lo stesso ad Francesco Caio ha assicurato che non sarà licenziato nessuno e lo stesso Governo si è impegnato formalmente in Parlamento “a considerare ogni atto di competenza finalizzato a assicurare durante l’iter di privatizzazione di Poste Italiane S.p.a la tutela, la protezione sociale e il mantenimento dei livelli occupazionali attuali di tutti i lavoratori impiegati presso l’ente, con particolare riferimento a quelli operanti nel settore del recapito postale”. Come noto le rassicurazioni fornite da Caio sul mantenimento degli attuali livelli occupazionali non hanno convinto affatto i sindacati anche dopo la presentazione del nuovo Piano industriale. Vedremo come evolveranno le questioni da qui a qualche tempo, ma un aspetto di cui si parla poco ma che dovrebbe essere preso schiettamente in considerazione è che, paradossalmente, se si avviasse una seria ridefinizione del servizio universale togliendo a Poste quella posizione di monopolio di cui gode da sempre, si potrebbe ottenere un considerevole gettito per l’erario da destinare esclusivamente al mantenimento di numerosi uffici postali attualmente considerati “improduttivi” o “diseconomici” e che svolgono invece un servizio essenziale per le attività quotidiane di imprese, famiglie e residenti anziani soprattutto nei territori più disagiati.
La delibera 728/13/Cons l’Agcom aveva manifestato evidenti perplessità sul mantenimento di alcuni servizi all’interno del perimetro del Servizio universale. Le caratteristiche di molti servizi non sembrerebbero, infatti, compatibili con il regime di S.U. che è volto -per definizione- alla promozione di inclusione sociale di categorie deboli di consumatori. L’analisi prende in considerazione le due macrocategorie dei mercati degli invii singoli e dei mercati degli invii multipli rientranti nel S.U. All’interno del mercato degli invii singoli dovrebbero uscire dal S.U. gli invii di posta assicurata e gli invii di pacchi ordinari fino a 20 kg. Per quanto riguarda il mercato degli invii multipli, l’Agcom non ravvisa l’opportunità di fornire in regime di SU né gli invii di corrispondenza ordinaria (posta massiva, posta certificata e posta prioritaria pro), né gli invii di corrispondenza registrata (Raccomandata Smart, Raccomandata Pro, Assicurata Smart). Anche gli invii di atti giudiziari, sia singoli che multipli, non dovrebbero essere offerti in regime di esclusiva secondo l’Agcom, né dovrebbero essere inclusi nel S.U. In Italia, questi prodotti rientrano nel perimetro del Servizio universale, godendo dell’esenzione Iva qualora forniti da Poste Italiane, e sono, invece, ‘ivati’ se forniti da operatori diversi, con tutte le conseguenze in termini di limiti alla concorrenza ed alla equa competizione tra gli operatori del mercato che si possono immaginare. In pratica, nel nostro Paese uno stesso prodotto fornito da Poste piuttosto che da qualsiasi operatore privato gode di 2 regimi fiscali diversi. In Europa, invece, Germania, Olanda, Austria, Belgio, Finlandia e anche il Regno Unito, le cose vanno molto diversamente ed è stato posto fine all’esenzione Iva per i prodotti di posta commerciale, perché perfettamente gestibili dal mercato. Solo la Francia mantiene un’esenzione Iva sulla posta massiva, giustificata dal fatto che lì vige un monopolio di fatto.
I risvolti potrebbero essere molteplici, perché secondo le stime fornite da Confindustria Fise Are portati all’attenzione del ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi in occasione di un confronto sul ddl sulla Concorrenza, Poste, al netto di quanto previsto dalla legge di stabilità 2015, genera ricavi per circa 2,4 miliardi di euro per il segmento del Servizio Universale e ha ricevuto un rimborso negli ultimi anni dei costi sostenuti pari a 360 milioni di euro l’anno, cioè 1/6 dei ricavi complessivi, contrariamente a quanto accade in Europa dove solo in 3 Paesi lo Stato finanzia le perdite del fornitore del servizio universale attraverso il proprio bilancio, che non arriva mai sopra gli 80 milioni di euro. Infine, se si rivedesse il perimetro del servizio universale postale alla stregua delle indicazioni fornite da Agcom in linea con la legislazione europea, secondo i calcoli forniti da Confindustria Fise Are, si potrebbe addirittura ottenere un gettito aggiuntivo per l’erario stimato di ben 300 milioni di euro annui. Risorse che, una volta accertate e opportunamente rendicontate, potrebbero essere finalizzate all’apertura di quegli uffici postali che, specialmente nelle aree più critiche, sembrerebbero chiudere oggi con conseguente mantenimento dei livelli occupazionali, aprendosi contestualmente il mercato ad una maggiore competizione sui prezzi e libertà di scelta da parte dei consumatori in ambiti che poco hanno a che fare con il regime di servizio universale.
Come M5S abbiamo già espresso pesanti riserve sulla privatizzazione di Poste e riteniamo inaccettabili queste regalie del Governo a scapito dei cittadini. La nostra opposizione in Commissione Bilancio e in Aula sarà ferma e decisa. Vogliamo incrementare i servizi per i cittadini, soprattutto i più deboli, e non smantellare un servizio pubblico così come sta facendo il Governo.