Migliaia le tonnellate di pane sprecate all’anno in Italia. Secondo una recente inchiesta pubblicata dal quotidiano La Repubblica, sarebbero circa 13 mila i quintali di pane buttato ogni giorno, quasi il 25% del pane prodotto destinato alla GDO. Ogni famiglia italiana in media spreca cibo per 454 euro l’anno, di cui il 19% è costituito dal pane. Ma lo spreco di pane non avviene solo tra le mura domestiche, infatti, il pane fresco invenduto dopo le 24 ore dalla produzione, va a finire in discarica o, sussistendone le garanzie igienico-sanitarie, avviato all’alimentazione animale.
Questo spreco interessa migliaia di quintali di pane è generato da una cattiva interpretazione di una nota del Ministero della salute: la 609/SEGR/47 del 2 marzo 2003. In realtà il pane preconfezionato, anche una volta superato il tempo minimo di conservazione (TMC), ma anche il pane fresco dopo le 24 ore dalla sua produzione, avrebbe ancora tutti i crismi per essere destinato all’alimentazione umana, magari donati alle Caritas e da queste agli indigenti, purché si assicurino i parametri di sicurezza scolpiti dall’art. 14 del Regolamento (CE) n. 178/2002.
Queste considerazioni scaturiscono dal Parere giuridico che abbiamo chiesto all’Avvocato Daniele Pisanello, un legale esperto di normativa alimentare, a cui ci siamo rivolti a seguito della soppressione dell’impegno che avevo provato ad inserire nella Mozione contro gli sprechi alimentari, votata a giugno 2014, con cui chiedevamo di promuovere il potenziamento delle reti caritative nazionali, al fine di poter recuperare il pane ogni giorno invenduto dalla grande distribuzione.
Secondo la quasi unanime dottrina e giurisprudenza – si legge nel Parere giuridico – la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro il…” che troviamo sul pane preconfezionato, non configura alcun vizio di commestibilità o commercialità, ma garantisce solo, da parte del produttore, la conservazione delle qualità nutrizionali dell’alimento, che potrebbe non solo essere consumato oltre tale data, ma non aver perduto alcuna sua qualità. Le stesse ragioni si possono addurre per il pane fresco dopo le 24 ore dalla sua produzione. Quanto detto, è anche implicitamente confermato dalla legge di stabilità 2014, comma 236. Il comma in questione, infatti, sottintende che i prodotti alimentari, compreso il pane, possano essere ceduti a fini di beneficenza, purché ogni soggetto rispetti il corretto stato di conservazione, trasporto, deposito e utilizzo, escludendo in maniera intrinseca che il pane possa essere considerato un rifiuto solo perché superate le 24 ore dalla produzione per il pane fresco o il TMC per il pane preconfezionato.
Partendo da queste considerazioni abbiamo preparato un’interrogazione parlamentare e una mozione che impegni il Governo innanzitutto a rivedere la sua posizione in merito all’interpretazione della normativa relativa alla redistribuzione del pane fresco e quindi ad emanare, in tempi rapidi, i cosiddetti “manuali di corretta prassi operativa”, previsti dalla legge di stabilità 2014.
Questi manuali renderebbero la vita più semplice ai panificatori ed agli operatori alimentari in generale, riducendo i costi ed i rischi legati alla gestione dei prodotti da forno e favorendo pertanto le lodevoli iniziative caritatevoli.