Come sapete, da sempre mi occupo di sostenibilità e, per questo, non potevo non occuparmi del sequestro del carbonio. Esistono vari modi di sequestrare il carbonio: far crescere una nova foresta (con la speranza che non bruci), pompare sotto terra o sotto il mare CO2 oppure metterla nel suolo tramite arricchimento con carbone vegetale o biochar; una tonnellata di quest’ultimo equivale, ci dice Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) a circa tre tonnellate di CO2.
Da queste considerazioni mi sono chiesto, l’agricoltore che ruolo può avere? Può altresì ricavarci reddito?
Alcune misure della politica agricola comunitaria premiano certi comportamenti, senz’altro positivi ma, a mio avviso, poco misurabili. Altra questione sulla quale vi voglio far riflettere è che, ad esempio, se un agricoltore con la sua gestione del fondo riesce a “sequestrare carbonio” che ci fa? Lo può vendere questo credito?
In Italia purtroppo questo mercato non c’è per due motivi: il primo è che non c’è ancora nessuno che certifica e secondo la “vendita di CO2 sequestrata”, non rientra tra le attività connesse.
Quando ho preso in mano la questione, nel novembre scorso, sono stati fatti grandi passi avanti. La mia “pressione” ha messo in moto un meccanismo che vede ACCREDIA in fase di certificazione di uno schema di certificazione basato sulla norma PDR UNI 99/2021 e, tramite una risposta del Ministero delle Finanze ho proposto una modifica normativa al decreto Semplificazioni Fiscali, che riporto sotto, per far rientrare la “vendita di CO2 sequestrata” come attività connessa.
Purtroppo la crisi di Governo ne impedirà, nei fatti, il dibattito. Io però non mi arrenderò.