Negli ultimi anni, si è giustamente acceso un dibattito sulle questioni ambientali e, quindi, ci si aspetta che i responsabili politici trovino soluzioni coerenti per gli obiettivi dell’Agenda 2030. La misura della sostenibilità o dell’insostenibilità deve passare per forza da una misura di “impatto dell’attività antropica” sull’ambiente in modo da permetterci di fare la scelta giusta.
L’impresa agricola come fa a sapere qual è l’investimento “giusto”? Come fa il consumatore a scegliere il prodotto “giusto”?
Alla prima domanda si può dare una risposta calcolando – ad esempio – il bilancio ecologico, che è misurabile tramite una procedura oramai consolidata e validata, confrontando tale valore “prima” e “dopo” un certo investimento.
Nel dettaglio, per l’azienda agricola in questione, possiamo misurare la disponibilità di risorse naturali, che rappresenta la componente positiva del bilancio ecologico ed è espressa dalla Biocapacità (BioCapacity – BC), la quale viene calcolata tenendo conto dei servizi ambientali forniti dalle diverse tipologie e modalità di gestione della superficie aziendale.
Il consumo di risorse naturali, che rappresenta la componente negativa del bilancio ecologico, è espressa dalla Impronta Ecologica (Ecological Footprint – EF), la quale è calcolata tenendo conto degli impatti ambientali generati dalle diverse attività (coltivazioni, allevamenti, gestione del fondo, trasporti) condotte in azienda.
La differenza fra queste due quantità, entrambe espresse in termini di ettari standardizzati (global hectares – gha) definisce stabilisce il Bilancio Ecologico (Ecological Balance – EB). Se il valore di EB è positivo, vuol dire che il sistema produttivo genera più risorse naturali di quelle che consuma e quindi può essere a tutti gli effetti definito come sostenibile.
L’altro punto fondamentale è che se l’investimento non è ripagabile non esiste impresa: per questo è fondamentale misurare il rating dell’azienda agricola che effettua l’investimento. Per ogni superficie possiamo calcolare il valore della produzione standard sia per quanto riguarda le produzioni vegetali che le produzioni animali, il valore dei costi, i dati patrimoniali, la redditività caratteristica dell’azienda prima degli ammortamenti, la capacità di autofinanziamento e ritorno dell’investimento, l’autonomia e l’indipendenza aziendali in termini patrimoniali e tutto quello che serve, secondo uno standard consolidato, per ottenere un rating.
In conclusione, tra i vari rating economici positivi scegliamo quell’investimento che ha anche un bilancio ecologico positivo. Questo è “fare la scelta giusta in agricoltura”.
Tale modello, poi, apre ad altre opportunità. Se venisse scelto il modello del calcolo del bilancio ecologico come strumento di valutazione della “sostenibilità ambientale”, sia lo Stato che il sistema creditizio avrebbe uno strumento univoco per individuare gli investimenti “green” da finanziare in maniera agevolata. Oltre questo, un “credito ambientale positivo”, l’azienda agricola lo potrebbe “vendere” alle imprese del territorio creando così un ciclo virtuoso.
Adesso, però, dobbiamo far sapere al consumatore se quello che sta acquistando sia davvero “sostenibile”. Oggi, il consumatore sa che se sceglie un prodotto certificato “biologico” sceglie un prodotto fatto rispettando delle regole ben precise ma tale certificazione non è legata a nessuna misura oggettiva bensì ad un elenco di cose da non fare; lo stesso possiamo dire di un prodotto certificato “agricoltura integrata”. Come detto, il consumatore, sempre più attento, vuole sapere se un prodotto “fa male all’ambiente” e, sempre più spesso, si parla di introdurre una “etichetta ambientale”.
Tra i vari approcci che si stanno affermando a livello internazionale per misurare l’impatto delle attività produttive sull’ambiente, uno dei più diffusi è il metodo di valutazione del ciclo di vita (Life Cycle Assessment o LCA). L’analisi incorpora nel calcolo le emissioni e l’impatto delle materie prime utilizzate e di tutti i processi di post-produzione (distribuzione, vendita, uso, riciclaggio). Il metodo è formalizzato negli standard ISO 14040 e ISO 14044, che forniscono i riferimenti necessari per definire uno strumento operativo per quantificare l’impatto ambientale del sistema di produzione. Questa analisi permette, inoltre, di evidenziare i punti critici del ciclo produttivo e, quindi, di intervenire per migliorarsi.
Tale strumento si presta altresì a far sapere al consumatore quanto quel prodotto ha impattato nell’ambiente sotto forma di emissioni equivalenti. LCA rappresenta la base di sviluppo di schemi di Etichettatura Ambientale come l’Ecolabel o l’EPD (Environmental Product Declaration). In Italia, ad esempio, con il decreto n°56/2021 si introduce il marchio volontario “Made Green Italy” dove lo strumento di calcolo LCA è lo strumento cardine.
Per concludere, il bilancio ecologico e LCA non sono due metodi di valutazione alternativi, quanto piuttosto due strumenti che devono integrarsi. Il bilancio ecologico guarda alla sostenibilità del sistema produttivo (azienda), il LCA all’impatto ambientale dei suoi prodotti. Le politiche guardano ai sistemi produttivi, i consumatori ai prodotti.
L’idea è quella di confrontare e integrare i due metodi affinché tutti facciano la scelta giusta e il sistema agricolo sia realmente economicamente e ambientalmente sostenibile. Seguiranno ulteriori sviluppi, seguitemi.